Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 luglio 2025, n. 9 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 luglio 2025, n. 9
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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 luglio 2025, n. 9

Con la sentenza n. 9, del 15 luglio 2025, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha fornito chiarimenti sulla corretta interpretazione degli artt. 122 e 124 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), i quali disciplinano rispettivamente la dichiarazione di inefficacia del contratto e la tutela in forma specifica a fronte di un’aggiudicazione illegittima.

La vicenda trae origine da una gara finalizzata all’individuazione di un contraente con cui stipulare una convenzione, in applicazione degli artt. 26, comma 1, della L. 23 dicembre 1999, n. 488, e 1, comma 4, lett. a), della legge della Regione Lombardia 28 dicembre 2007, n. 33, per la fornitura, agli enti sanitari, del servizio di pulizia e disinfezione degli ambienti.

Il disciplinare di gara prevede che tale convenzione avrebbe dovuto stabilire:

i) l’importo massimo contrattuale, pari al prezzo complessivo offerto dall’aggiudicatario;

ii) la regolamentazione dei singoli contratti attuativi della convenzione;

iii) la durata dei contratti attuativi pari a 60 mesi.

L’Adunanza Plenaria è intervenuta per dare esecuzione ad una precedente sentenza (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 aprile 2024, n. 7) che, in riforma della pronuncia di primo grado sfavorevole, ha accolto il ricorso della seconda classificata e, una volta disposto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ha dichiarato l’inefficacia del contratto e il subentro dell’appellante, seconda classificata, nel medesimo.

Secondo la tesi della società subentrante, le determinazioni assunte dalla stazione appaltante avrebbero violato il giudicato della citata sentenza n. 7 del 2024, in quanto l’amministrazione aveva sì disposto il subentro della seconda classificata, ma aveva anche ridotto l’importo contrattuale della convenzione, stabilendo di conseguenza che i singoli contratti attuativi avessero una durata inferiore a 60 mesi – di fatto stornando gli importi già corrisposti al precedente aggiudicatario.

L’Adunanza Plenaria, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso, chiarendo la portata del subentro nel contratto a seguito dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.

Il Collegio ha osservato preliminarmente che gli articoli 121 e 122 del c.p.a. hanno attribuito al giudice della cognizione il potere di “modulare” la decorrenza della dichiarazione di inefficacia del contratto, stabilendo se essa debba operare ex tunc, ovvero ex nunc o da una determinata data, mantenendo fermi, in questi ultimi casi, gli effetti del contratto ormai caducatosi, con riferimento al periodo durante il quale esso sia già stato eseguito dall’originario aggiudicatario.

La Plenaria ha chiarito inoltre che, nel consentire il “subentro nel contratto”, gli articoli 122 e 124 del c.p.a. non si riferiscono alla “successione” nel contratto e nel rapporto contrattuale nello stato di esecuzione in cui si trova, ma “hanno consentito al giudice amministrativo di valutare gli interessi pubblici coinvolti e le circostanze del caso concreto, prevedendo anche l’ultrattività degli effetti del contratto (ormai caducatosi a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione)”.

Pertanto, secondo il Collegio, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il giudice amministrativo, oltre a determinare la decorrenza della perdita di efficacia dell’originario contratto, può anche disporre che il “secondo aggiudicatario” effettui soltanto le prestazioni non ancora eseguite per il periodo contrattuale “residuo” dell’affidamento, oppure che il nuovo rapporto abbia la medesima durata (oltre che gli stessi contenuti) di quello originario, come risultante dalla disciplina di gara.

Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che, dalla motivazione della Ad. Plen., n. 7 del 2024 si deve desumere che la stessa avesse dichiarato l’inefficacia e il subentro nel contratto senza limitazioni, per un periodo corrispondente a quello originariamente previsto con il contratto ormai caducato. Tale decisione dell’Adunanza Plenaria risulta fondata sulle seguenti considerazioni:

a) il giudice ha deciso “in accoglimento della domanda all’uopo proposta dall’appellante principale”, che aveva domandato il subentro nel contratto senza limitazioni. L’appellante non aveva, quindi, circoscritto la domanda di risarcimento del danno in forma specifica alla sola parte di contratto non eseguita, come erroneamente interpretato dalla stazione appaltante;

b) la decorrenza dell’inefficacia del contratto originario e del contestuale subentro è stata fatta partire dallo spirare del cinquantesimo giorno successivo alla data della pubblicazione della sentenza per “ragioni di carattere organizzativo”, non per circoscrivere il subentro alle prestazioni ancora da eseguire;

c) nel corso del giudizio di cognizione, l’Amministrazione non ha prospettato “la sussistenza di ostacoli alla dichiarazione di inefficacia del contratto concluso con l’aggiudicataria e alla condanna al subentro nel contratto in favore dell’appellante”, né questi emergono da altri documenti posti a conoscenza del giudice, considerata anche la natura del servizio da svolgere;

d) l’appellante ha chiesto, in via subordinata, il risarcimento del danno per equivalente, sulla cui domanda la sentenza n. 7 del 2024 non si è pronunciata proprio in considerazione dell’integrale accoglimento della domanda di subentro, da intendere come risarcimento in forma specifica.

La Plenaria, dunque, ha chiarito che la sentenza n. 7 del 2024 “si è ispirata al fondamentale principio per il quale la durata del processo non può andare a detrimento della parte vittoriosa (cfr. Corte Cost., 28 giugno 1985, n. 190)”.

Invero, “Le pronunce giurisdizionali – sia quelle di cognizione, sia quelle di esecuzione – devono ispirarsi a tale principio”.

In conclusione, in considerazione di quanto argomentato, il Collegio ha stabilito che risulta in contrasto con il giudicato la condotta della stazione appaltante volta a “stornare” le somme già corrisposte al contraente precedente per le prestazioni eseguite, così riducendo il plafond disponibile relativo al contratto originario.

 

 

 

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Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2025, n. 1425

Con la pronuncia n. 1425, del 20 febbraio 2025, la V° sezione del Consiglio di Stato ha chiarito l’applicabilità del soccorso istruttorio nelle procedure di gara e i limiti dell’omissione dichiarativa ai fini dell’esclusione.

Infatti, nel caso in esame, il Collegio è stato chiamato a pronunciarsi sulla richiesta avanzata dalla società seconda classificata – ritenuta infondata dal giudice di primo grado – di annullamento dell’aggiudicazione e degli atti gara, a fronte dell’omessa dichiarazione del revisore legale dell’aggiudicataria e della mancata comprova dei requisiti tecnici dei progettisti indicati in sede di offerta.

Secondo la tesi della società appellante, la stazione appaltante avrebbe violato l’art. 17 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, che imporrebbe di svolgere le prescritte verifiche di legge prima di disporre l’aggiudicazione definitiva ed efficace, nonché il principio del soccorso istruttorio (art. 101 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), in quanto l’istituto non potrebbe essere esperito dopo lo svolgimento della gara e dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione.

Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza del TAR Campania, ha respinto l’appello, sostenendo che la mancata produzione della documentazione a comprova in sede di partecipazione “non assume rilievo, in quanto ben poteva costituire oggetto di soccorso istruttorio, considerato che tali documenti sono riferiti a requisiti di cui non si contesta l’omessa dichiarazione in sede di partecipazione”.

Il Collegio ha ritenuto, innanzitutto, di richiamare la nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.16 del 28 agosto 2020 che, nell’affermare il principio di diritto della necessità che la stazione appaltante effettui sempre valutazioni accurate sulle fattispecie della falsità od omissione di informazioni, senza alcun automatismo espulsivo, ha definitivamente chiarito la distinzione tra omissione e falsità dichiarativa.

Invero, secondo quanto riportato dall’Adunanza Plenaria, la nozione di falsità costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, mentre la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, ma solo con valutazione nel caso concreto, in relazione alle “circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente”.

Inoltre, il Consiglio di Stato, richiamando quanto sostenuto dalla sezione, ha affermato che “l’istituto del soccorso istruttorio obbedisce, per vocazione generale (cfr. art. 6 l. n. 241/1990), ad una fondamentale direttiva antiformalistica che guida l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati”.

 Invero, la pronuncia in commento ha evidenziato come l’art. 101 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) abbia ulteriormente ampliato l’ambito di applicazione dell’istituto.

In particolare, il Supremo Consesso non ha ravvisato alcun impedimento all’attivazione del soccorso istruttorio anche dopo l’aggiudicazione ed in seguito all’impugnazione, purché l’esito sostanziale accerti l’effettivo possesso dei requisiti.

Ad avviso del Collegio, tale evoluzione è avvalorata altresì dall’inserimento ad opera del d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209 (c.d. “correttivo”), nell’art. 99 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 sulla verifica del possesso dei requisiti, del comma 3-bis.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che l’ordinamento non esclude, quindi, che la verifica sui requisiti in alcune fattispecie possa avvenire successivamente all’attribuzione dell’efficacia all’aggiudicazione.

Ciò risponde alla logica del principio del risultato, che “integra i parametri della legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito e di metodo), oltre che di astratta conformità al paradigma normativo”.

D’altro canto, la V° sezione ha precisato che la stazione appaltante deve mirare a raggiungere il risultato dell’aggiudicazione all’offerta migliore “nel rispetto non delle sterili prescrizioni formalistiche, bensì delle garanzie sostanziali dei partecipanti alla procedura di evidenza pubblica”.

Pertanto, la pronuncia, alla luce del principio del risultato, ha concluso che nessuna illegittimità possa ravvisarsi nella fattispecie in esame, atteso che, seppur in un momento successivo, la dichiarazione è stata resa da parte del revisore e, come appurato dalla stazione appaltante, nessuna causa di esclusione è stata rilevata.

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La Corte costituzionale cassa la legge della Provincia di Bolzano 16 luglio 2024, n. 2 per violazione degli artt. 108, comma 9 e 110, comma 1, del Codice dei contratti pubblici.

Con la sentenza n. 80/2025 del 19 giugno 2025 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 13, della legge della Provincia di Bolzano 16 luglio 2024, n. 2, nella parte in cui aveva previsto che, in fase di procedura di gara, la Stazione Appaltante richiedesse al solo concorrente collocatosi primo in graduatoria di indicare il costo della manodopera e del personale nonché gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Ad impugnare la norma provinciale è stata la Presidenza del Consiglio dei Ministri, lamentando la violazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni ed in particolare la competenza statale esclusiva in materia di “tutela della concorrenza”, ponendosi in contrasto con gli artt. 108, comma 9 e 110, comma 1, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (cd. Codice dei Contratti Pubblici), che costituiscono norme fondamentali delle riforme economico-sociali, attuative anche di obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea.
La Corte Costituzionale ha rilevato che sussiste una “evidente difformità” tra la disposizione provinciale impugnata e le norme del Codice dei Contratti Pubblici richiamate, che prevedono sia la specifica indicazione dei costi della manodopera e della sicurezza nell’offerta economica di ciascun concorrente, a pena di esclusione dell’operatore dalla procedura di gara (art. 108, comma 9, d.lgs. 36/2023), sia la verifica ad opera della stazione appaltante dell’offerta che appaia anormalmente bassa sulla base di tali indicazioni (art. 110, comma 1, d.lgs. 36/2023).
In specie, la norma provinciale impugnata, invece, esonerava i concorrenti dall’indicare i costi della manodopera e della sicurezza in sede di presentazione delle offerte e posticipava l’insorgenza di tale obbligo al momento successivo alla formazione della graduatoria, limitandolo al solo operatore economico collocatosi primo in graduatoria.
Pertanto, la Corte ha sostenuto che, con la normativa provinciale, risulta “vanificata la ratio dell’obbligo dichiarativo e del correlato automatismo espulsivo”, che rispondono alla finalità (di rilievo costituzionale) di rafforzare gli strumenti di tutela dei lavoratori, di responsabilizzare gli operatori economici e di rendere più agevoli ed efficaci gli strumenti di vigilanza e controllo.
Il quadro normativo richiamato, che si rinviene dal combinato disposto degli artt. 108, comma 9 e 110, comma 1, d.lgs. 36/2023 risulta, secondo la Consulta, “l’esito di un’operazione di bilanciamento fra la tutela della concorrenza, diretta a salvaguardare valori quali la parità di trattamento dei partecipanti alla gara e la trasparenza, e la tutela della manodopera, che il legislatore statale ha inteso apprestare in modo rafforzato, con la finalità di conseguire obiettivi di interesse sociale”.
Secondo la Corte Costituzionale, peraltro, la richiesta, rivolta al solo concorrente collocatosi al primo posto, e la successiva verifica di congruità, previste dal legislatore provinciale, rischiano di tradursi in una ricostruzione ex post e non trasparente dei costi.
In conclusione, la Consulta ribadisce la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui tutte le disposizioni del Codice dei Contratti pubblici – che riguardano la scelta del contraente – sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza e costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, attuative anche di “obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea”, non potendo pertanto essere derogate in ragione dell’autonomia speciale riconosciuta alla Provincia di Bolzano.

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Il nuovo “volto” del collegio consultivo tecnico dopo le novità introdotte dal decreto correttivo (d.lgs. n. 209/2024)

1. Premessa.

Tra gli ambiti di intervento definiti prioritari dalla Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” figura, in corrispondenza del § 3.10, la disciplina del collegio consultivo tecnico (CCT), istituto preordinato alla prevenzione o alla rapida risoluzione delle controversie e delle dispute tecniche di ogni natura, suscettibili di insorgere durante l’esecuzione del contratto.

2. La cornice normativa e il regime temporale di applicazione delle nuove disposizioni.

Il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209 (c.d. Correttivo) ha apportato diverse modifiche alla disciplina del collegio consultivo tecnico (di seguito, anche solo “Collegio”), con il dichiarato obiettivo di “risolvere le criticità evidenziate”,“proporre soluzioni concrete alle stazioni appaltanti e agli operatori economici”, “assicurare certezza nei rapporti giuridici” (cfr. Relazione illustrativa, p. 15).
Il testo, che è entrato in vigore il 31 dicembre 2024, ossia il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, modifica gli artt. da 215 a 219 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (c.d. Codice dei contratti pubblici – nel prosieguo, anche solo “Codice”), sostituisce l’All. V.2 e precisa che, nelle more dell’adozione delle nuove Linee guida, deputate a definire i parametri per la determinazione “dei compensi e delle spese non aventi valore remunerativo (…), prevedendone l’erogazione, secondo un principio di gradualità” e “del compenso della segreteria tecnico amministrativa”, continuano ad applicarsi le Linee guida approvate con D.M. 17 gennaio 2022, n. 12 (c.d. Linee guida M.I.M.S.), ancorché per la sola parte relativa alla determinazione dei compensi (art. 1, comma 6, ultimo periodo, All. V.2).
Sul versante temporale, è l’art. 225-bis, comma 5 – introdotto dall’art. 70 del d.lgs. n. 209/2024 e rubricato “Ulteriori disposizioni transitorie” – a stabilire che “Le disposizioni di cui agli articoli da 215 a 219 e all’allegato V.2, la cui entrata in vigore coincide con la data di entrata in vigore della presente disposizione [n.d.r. 31 dicembre 2024] si applicano, in assenza di una espressa volontà contraria delle parti, anche ai collegi già costituiti ed operanti alla medesima data, ad eccezione di quelli relativi ai contratti di servizi e forniture già costituiti alla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
La previsione, a differenza dell’art. 224, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023 (“Le disposizioni di cui agli articoli da 215 a 219 si applicano anche ai collegi già costituiti ed operanti alla data di entrata in vigore del codice [n.d.r. 1° aprile 2023]”), presenta una formulazione maggiormente articolata che, tuttavia, pone diversi interrogativi.
Da un lato, il Legislatore non ha fornito indicazioni sul termine entro il quale le parti dovrebbero manifestare un’eventuale volontà contraria; dall’altro, non è chiaro se, a fronte di un silenzio assenso iniziale, le parti possano poi rideterminarsi in senso contrario in un secondo momento, neutralizzando, in questo modo, la “forza” usualmente riconosciuta a un meccanismo che è espressione di un principio generale, posto – tra gli altri – a presidio della certezza dei rapporti giuridici.
Al tempo stesso, non viene specificato se il Collegio possa sollecitare una presa di posizione espressa delle parti sull’argomento. Al riguardo, nel silenzio dell’art. 225, comma 5-bis, soccorre la previsione di cui all’art. 4, comma 3, terzo periodo, dell’All. V.2, che consente al Collegio di formulare, ove ritenuto opportuno, osservazioni alle parti, disciplinando, dunque, un potere di natura sollecitatoria.
In quest’ottica, a livello applicativo, si sta registrando la “tendenza” dei Collegi ad assegnare alle parti un termine per l’espressione di un’eventuale volontà contraria in ordine all’applicazione della nuova disciplina, con la precisazione che, in caso di mancata esternazione e comunicazione della ridetta volontà contraria, si intende perfezionato il meccanismo del silenzio assenso, con conseguente applicazione del nuovo quadro normativo.
Guardando alla questione da una diversa angolazione, si pone anche il problema della disciplina applicabile ai procedimenti per l’espressione dei pareri o delle determinazioni già attivati da una o da entrambe le parti, con la proposizione di un quesito scritto e già istruito dal Collegio, se non addirittura in corso di definizione.
Rispetto a questa problematica, sembra difficile immaginare – specie a fronte delle modifiche apportate al testo degli artt. 216 e 217 del Codice – un cambio di impostazione rispetto alla disciplina applicabile, anche per non vanificare il lavoro fatto dai Collegi, che – lo si ricorderà – è volto alla rapida risoluzione delle controversie e delle dispute tecniche.
Fanno eccezione, come visto, i CCT relativi ai contratti di servizi e forniture già costituiti alla data del 31 dicembre 2024, rispetto ai quali continua a trovare applicazione il quadro normativo previgente per espressa voluntas legis.
Non è, però, evidente la sorte dell’istituto rispetto alle procedure di gara di importo pari o superiore a 1 milione di euro indette prima del 31 dicembre 2024 e soggette, come tali, all’obbligo di costituzione obbligatoria del CCT in virtù del previgente art. 215, comma 1, secondo periodo, del Codice.
Il Collegio, infatti, potrebbe ad oggi non essere ancora costituito per una pluralità di ragioni (ad esempio, perché la procedura di gara è ancora in corso oppure perché non è ancora intervenuta la sottoscrizione del contratto d’appalto o perché l’esecuzione non ha ancora avuto inizio o perché non sono ancora stati individuati i componenti del Collegio o il presidente, etc.).
Rispetto a queste ipotesi sembra potersi sostenere che è venuto meno l’obbligo di costituzione obbligatoria del CCT.
L’interpretazione proposta parrebbe coerente, da una parte, con il dato testuale della norma, che esclude dall’ambito di applicazione della nuova disciplina i soli CCT già costituiti al 31 dicembre 2024 e non già quelli ancora da costituire, e, dall’altra, con la scelta del Legislatore a favore della facoltatività dell’istituto. La medesima consentirebbe, inoltre, di evitare che vengano a generarsi oneri finanziari a carico delle commesse pubbliche, quanto meno con riferimento alla parte fissa dei compensi da riconoscere ai componenti dei Collegi.

3. L’ambito di applicazione.

3.1 Ambito soggettivo.
Il Correttivo è intervenuto anche sull’ambito di applicazione delle disposizioni sul collegio consultivo tecnico, chiarendo che le medesime si applicano – in virtù della lettera i-bis), introdotta nel testo dell’art. 141, comma 3, del Codice dall’art. 47, lett. a), n. 3, del d.lgs. n. 209/2024 – anche alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti operanti nei settori speciali, quali i settori del gas e dell’energia termica, dell’elettricità, dell’acqua, del trasporto ferroviario, tranviario, filoviario, mediante autobus, dei porti e degli aeroporti, dei servizi postali, dell’estrazione, produzione o prospezione di petrolio, gas, carbone o di altri combustibili solidi.
È, invece, venuto meno – per effetto del superamento delle previgenti Linee guida M.I.M.S. (v. punto 1.1.1.) – il riferimento: i) “a tutti i soggetti pubblici e privati tenuti all’osservanza delle disposizione del codice”, ivi inclusi, quindi, i soggetti privati titolari di permesso di costruire o di altro titolo abilitativo, che assumono in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo, totale o parziale, del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire o che eseguono le relative opere in regime di convenzione, ad eccezione delle ipotesi disciplinate dall’art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. n. 380/2001 (c.d. T.U. Edilizia); ii) ai “commissari nominati ai sensi dell’art. 4 e 4-ter del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 ove abbiano assunto le funzioni di stazione appaltante ai sensi del comma 3 del medesimo art. 4”.
Questi soggetti dovrebbero potersi considerare ricompresi nell’ambito di applicazione soggettivo dell’istituto in virtù della definizione di stazione appaltante contenuta nell’art. 1, lett. a), dell’All. I.1 al d.lgs. n. 36/2023 (n.d.r. “qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di appalto di lavori, servizi e forniture e che è comunque tenuto, nella scelta del contraente, al rispetto del codice”).
È, però, vero che la questione presenta un grado di complessità maggiore in relazione alle opere di urbanizzazione a scomputo oneri per via della previsione contenuta nell’art. 1, secondo periodo, dell’All. I.12 al Codice, ai sensi della quale “In relazione alla fase di esecuzione del contratto si applicano esclusivamente le norme che disciplinano il collaudo di cui all’art. 116 del codice”.

3.2 Ambito oggettivo.
Quanto all’ambito di applicazione oggettivo, l’art. 62, lett. b), del d.lgs. n. 209/2024, nel sostituire il secondo periodo dell’art. 215, comma 1, del Codice, ha fatto venire meno l’obbligo di costituzione obbligatoria del CCT per le forniture e i servizi di importo pari o superiore a 1 milione di euro.
Viceversa, ha trovato conferma la costituzione obbligatoria del Collegio per i lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, con la precisazione che devono intendersi incluse anche quelle “realizzate tramite contratti di concessione o di partenariato pubblico-privato”, coerentemente con le indicazioni fornite dal Servizio Supporto Giuridico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) nel parere n. 2874 del 29 ottobre 2024.
Nell’attuale quadro normativo, la costituzione del Collegio è rimessa all’esclusiva volontà delle parti ed è, dunque, facoltativa: i) per i lavori di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea; ii) per i servizi e le forniture, a prescindere dal loro importo.
A queste ipotesi, si aggiunge quella (peculiare) del CCT ante operam,incaricato di “risolvere problemi tecnici o giuridici di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase antecedente alla esecuzione del contratto, ivi comprese le determinazioni delle caratteristiche delle opere e le altre clausole e condizioni del bando o dell’invito, nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione e dei criteri di selezione e di aggiudicazione” e già conosciuto nel sistema previgente, la cui costituzione è rimessa alla scelta delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti (art. 218).

4. La costituzione del collegio consultivo tecnico.

L’art. 3, comma 1, primo periodo, dell’All. V.2 stabilisce che il CCT è costituito (e non “deve essere costituito a iniziativa della stazione appaltante”, come nel testo del previgente art. 2, comma 1, primo periodo, dell’All. V.2) “prima della data di avvio dell’esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data”.
A tale riguardo, si ricorda che, nei casi di appalto integrato, la giurisprudenza ha ritenuto “illegittima la decisione della stazione appaltante di posticipare la nomina del C.C.T. ad una fase successiva a quella della consegna della progettazione (ossia all’inizio dei «lavori»)”, venendo in rilievo un contratto con un “oggetto negoziale unico, consistente tanto nella progettazione quanto nell’esecuzione dei lavori” (così T.A.R. Sicilia Catania, Sez. I, 20 giugno 2022, n. 1638).
L’inottemperanza o il ritardo nella costituzione del Collegio sono valutabili, nel caso di affidamenti di importo superiore alla soglia di rilevanza europea, sia ai fini della responsabilità dirigenziale ed erariale sia, nei rapporti tra la stazione appaltante e l’operatore economico, sotto il profilo della buona fede contrattuale. In particolare, in caso di inottemperanza o di ritardo imputabili all’operatore economico “è rimessa alla valutazione della stazione appaltante la violazione della buona fede contrattuale ai sensi dell’art. 1375 c.c. (…) unitamente alla possibilità di ricorrere al Presidente del tribunale ordinario competente (…) in una logica di perseguimento dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera, dunque, conservativa della procedura di aggiudicazione svolta per l’affidamento del contratto (…).” (cfr. delibera ANAC n. 265 del 7 giugno 2022)[1].
L’art. 3, comma 2, primo periodo, dell’All. V.2, nel riconfermare che il CCT si intende costituito (e non più istituito) al momento dell’accettazione dell’incarico da parte del presidente, chiarisce – a tacitazione di qualsiasi dubbio interpretativo – che non vi è la necessità di “ulteriori formalizzazioni degli incarichi rispetto all’atto di nomina dei membri del Collegio”.
Per il resto, è rimasta invariata la disciplina relativa alla seduta d’insediamento (art. 3, commi 2 e 3, All. V.2) da tenersi, entro i quindici giorni successivi alla data di accettazione dell’incarico da parte del presidente, alla presenza dei legali rappresentanti delle parti, tenuti a rendere a verbale “dichiarazione in merito alla eventuale volontà di non attribuire alle pronunce del Collegio valore di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile”.

5. La composizione del collegio consultivo tecnico.

5.1 Formazione e composizione.
Per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 62, lett. a), del d.lgs. n. 209/2024, il CCT è formato “in modo da garantire l’indipendenza di giudizio e valutazione” (art. 215, comma 1).
Questo concetto avrebbe richiesto, ad avviso della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, un “completamento chiarificatore ulteriore, anche per dirimere i dubbi finora insorti sulla natura dell’istituto, tale da meglio precisare la detta posizione di indipendenza non solo in fase costitutiva, ma anche funzionale” (così Cons. Stato, Commissione Speciale, 2 dicembre 2024, parere n. 1463, sub punto 53.2)[2].
Viceversa, ha trovato conferma la composizione a tre componenti o a cinque, in caso di “complessità dell’opera e di eterogeneità delle professionalità richieste”, con la sola espunzione dell’aggettivo “motivata” (art. 1, comma 1, All. V.2).

5.2 Requisiti.
Quanto ai requisiti, possono essere nominati componenti del Collegio gli ingegneri, gli architetti, i giuristi e gli economisti, in possesso di comprovata esperienza nel settore degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto.
L’esperienza e la qualificazione sono comprovate dal possesso di uno dei requisiti richiesti dall’art. 2, comma 1, dell’All. V.2.
Rispetto al sistema previgente, i requisiti richiesti per la nomina a presidente o a membro del Collegio sono ora i medesimi; è stata così superata la previsione contenuta nel previgente punto 2.4.2., lett. c), delle Linee guida M.I.M.S., che escludeva la categoria professionale dei giuristi del libero Foro dal novero di coloro che potevano essere nominati presidenti del CCT, la cui efficacia, peraltro, era già stata sospesa dal T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, con ordinanza n. 2585 del 19 aprile 2022.
L’unico elemento di differenziazione riguarda il periodo temporale da prendere in considerazione per dimostrare il possesso dei requisiti: mentre il possesso del requisito deve essere comprovato con riferimento a un periodo minimo di cinque anni(e non più di dieci)per la nomina come membrodel Collegio, per la nomina a presidente il periodo minimo richiesto continua a essere di dieci anni (art. 2, comma 2, All. V.2).
Ferma questa premessa di inquadramento generale, la formulazione dell’art. 2, comma 1, dell’All. V.2 non pare coerente e sembra, al contrario, foriera di problematicità.
La norma, in particolare, per come formulata in corrispondenza della lett. a) (n.d.r. “patrocinio o assistenza di parte pubblica o privata in contenziosi amministrativi o civili nel settore dei lavori pubblici”), non sembra consentire la “spendita” dell’esperienza maturata nello svolgimento dell’attività di consulenza stragiudiziale; il che, però, risulta piuttosto singolare, viste le regole di funzionamento del CCT e considerata, altresì, la qualificazione del medesimo in termini di “organismo consultivo e di mediazione e conciliazione”[3], elementi questi ultimi che, di fatto, avvicinano l’istituto più al mondo dei meccanismi di alternative dispute resolution (ADR) che a quello del processo.
Per quel che concerne, invece, i professori universitari nelle materie degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici (v. lett. d), mentre nel sistema previgente la qualifica di professore universitario di ruolo era richiesta per la sola nomina a presidente del CCT (v. punto 2.4.2., lett. b), c) e d), delle Linee guida M.I.M.S.), nel sistema attuale la qualifica è estesa tout court anche per la nomina a componente, tant’è che non figura più tra i requisiti il possesso del titolo di dottore di ricerca di cui al punto 2.4.3., lett. b) e c), delle Linee guida M.I.M.S. Ciò parrebbe significare, all’atto pratico, che potranno spendere il requisito “accademico” solamente i professori di I e di II fascia.
Infine, occorre tener presente che, nel caso di costituzione facoltativa del CCT in relazione ai contratti di appalto di servizi e forniture, i requisiti dei componenti del Collegio andranno ricavati in via analogica da quelli previsti dal Legislatore prendendo a riferimento il settore dei lavori pubblici.

5.3 Cause di incompatibilità.
Per la disciplina delle cause di incompatibilità – che ha carattere tassativo, visto l’impiego dell’avverbio “esclusivamente” – occorre riferirsi all’art. 2, commi 3 e 4, dell’All. V.2.
Ivi si stabilisce, in particolare, che non possono essere nominati componenti del Collegio coloro che:
a) si trovano in una situazione di conflitto di interessi ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 36/2023;
b) versano in una situazione di incompatibilità ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 o hanno svolto, per la parte pubblica o per l’operatore economico, attività di controllo, verifica[4], progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione dell’esecuzione o dei lavori in relazione al contratto di appalto o alle sue fasi pregresse, salvo che l’attività sia stata svolta nell’ambito di organi collegiali consiliari;
c) hanno svolto, con riguardo ai lavori o servizi oggetto dell’affidamento, attività di collaborazione nel campo giuridico, amministrativo o economico per una delle parti. Tale previsione vale, però, per il solo presidente del Collegio;
d) hanno svolto l’incarico di consulente tecnico d’ufficio[5].
Viene, poi, chiarito che la sussistenza di cause di incompatibilità a carico dei membri o del presidente del Collegio può essere fatta valere dalle parti mediante istanza di ricusazione da proporre al presidente del Tribunale competente ai sensi dell’art. 810 c.p.c. (art. 2, comma 4, All. V.2).

5.4 Dimissioni e revoca.
Completano, infine, il quadro normativo di riferimento le previsioni contenute nell’art. 5, commi 3 e 4, dell’All. V.2, ai sensi delle quali:
i. le dimissioni dei componenti del CCT sono ammissibili solo in presenza di giusta causa o di giustificato motivo; alla sostituzione si provvede nelle forme e nei modi previsti per la nomina;
ii. i componenti del CCT non possono essere revocati successivamente alla costituzione del Collegio.
Quest’ultima precisazione sembra superare l’orientamento giurisprudenziale riconducibile alla pronuncia della I Sezione del T.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 1582 dell’11 novembre 2024, che, nel dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di annullamento dell’atto di revoca dell’incarico di componente del CCT, aveva precisato quanto segue: “Se paritaria è la posizione dei contraenti, pubblico e privato, altrettanto è a dirsi rispetto al rapporto che si viene ad instaurare fra la parte contrattuale, sia essa pubblica o privata, da un lato, e i componenti di parte da essa scelti per la composizione del Collegio Consultivo Tecnico. Rapporto che (…) può ricondursi alla figura del mandato (artt.1703 ss. c.c.) ed ha natura fiduciaria. Nella scelta del componente di parte da indicare per il costituendo Collegio Consultivo Tecnico, la stazione appaltante non esercita un potere pubblicistico bensì un potere di natura privatistica. Lo stesso è a dirsi per la decisione di revocare quella scelta, ove il rapporto di fiducia venga meno. Anche in questo caso, l’amministrazione esercita un potere privato il cui sindacato è sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto a venire in rilievo è una posizione di diritto soggettivo, non di interesse legittimo”.

6. L’attività del collegio consultivo tecnico.

Quanto all’attività del Collegio, l’art. 63 del d.lgs. n. 209/2024 ha inciso in maniera significativa sul testo dell’art. 216 del Codice, a cominciare dalla rubrica, che è stata modificata da “Pareri obbligatori” a “Pareri e determinazioni obbligatorie”.
Il comma 1 amplia il novero delle ipotesi in cui è obbligatoria l’acquisizione del parere o, su concorde richiesta delle parti, di una determinazione del Collegio, in origine circoscritte ai soli casi di sospensione, volontaria o coattiva, dell’esecuzione.
La disposizione in esame stabilisce, infatti, che “Nei casi di iscrizione di riserve, di proposte di variante e in relazione ad ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione di un contratto di lavori di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, è obbligatoria l’acquisizione del parere o, su concorde richiesta delle parti, di una determinazione del Collegio”, con l’ulteriore precisazione che“Se le parti convengono altresì che le determinazioni del collegio assumono natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter del Codice di procedura civile, è preclusa l’esperibilità dell’accordo bonario per la decisione sulle riserve”.
Per quel che concerne le riserve, hanno trovato conferma sia l’obbligo di iscrizione delle medesime nel rispetto della disciplina vigente (art. 4, comma 1, secondo periodo, All. V.2), sia la previsione (già contenuta nel previgente punto 4.1.3., secondo periodo, delle Linee guida M.I.M.S.) secondo cui “Se l’appaltatore, al fine di non incorrere in decadenze, iscriva riserve senza formulare anche il relativo quesito al CCT, il quesito deve essere formulato dal responsabile del procedimento se la riserva è tale da incidere sulla regolare esecuzione dei lavori” (art. 4, comma 1, ultimo periodo, All. V.2), a dimostrazione di una responsabilizzazione sempre maggiore del responsabile unico del progetto (RUP), tuttora impropriamente denominato responsabile del procedimento.
Resta, tuttavia, da comprendere il valore da attribuire alle pronunce del Collegio in riferimento ai CCT già costituti.
Poiché, infatti, le nuove norme potranno retroagire e operare come regole di funzionamento di Collegi già operanti, laddove le Parti abbiano concordato di attribuire valore di lodo contrattuale alle decisioni del CCT, parrebbe ragionevole interpretare la norma in modo che il RUP si attenga a quanto già concordato, presentando il quesito (obbligatorio) sulle riserve con il valore già convenuto.
La norma non fornisce indicazioni neppure per affrontare la diversa ipotesi in cui il RUP contravvenga all’obbligo su di esso gravante, laddove l’appaltatore iscriva le riserve senza formulare anche il relativo quesito.
Nello specifico, non vengono precisate né le conseguenze che deriverebbero da questa omissione (si potrebbe ipotizzare un’eventuale sanzionabilità della condotta del RUP sotto il profilo della responsabilità erariale), né viene chiarito se il Collegio può in qualche modo (e con quali modalità) “richiamare” il RUP all’osservanza dell’obbligo, considerato che, anche nell’impianto attuale, resta confermato che “In nessun caso il CCT si può pronunciare in assenza dei quesiti di parte”, pena la nullità delle determinazioni eventualmente assunte (art. 4, comma 1, quarto periodo, All. V.2).
Uno degli aspetti più innovativi della novella riguarda sicuramente l’obbligo di acquisire il parere obbligatorio del Collegio non solo in relazione a ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione del contratto, ma anche rispetto alle proposte di variante.
Rispetto alle proposte di variante, si registra tuttavia un’ambiguità terminologica nel concetto stesso di “proposte di variante”, che difatti figura, all’interno del Codice, nel solo testo dell’art. 216, comma 1, atteso che nelle rimanenti disposizioni si trovano espressioni, quali varianti, varianti in corso d’opera, perizie di variante, perizie di variante e suppletive, modifiche, variazioni e varianti contrattuali.
Non è parimenti chiaro in che termini il Collegio possa esprimersi sulle proposte di variante e come questo nuovo potere possa conciliarsi, in concreto, con i poteri (di stampo pubblicistico) attribuiti al RUP e al direttore dei lavori (DL).
L’acquisizione del parere è ora obbligatoria anche nei casi di risoluzione contrattuale (art. 216, comma 2). Ciò parrebbe significare che, in assenza della pronuncia del Collegio, le parti non possano disporre la risoluzione del contratto. Anche rispetto a questa fattispecie non sono evidenti le conseguenze legate a un’eventuale violazione del precetto, né è certo se la previsione operi anche rispetto alle ipotesi di risoluzione di diritto.
Le modifiche apportate al testo dell’art. 216 vanno, poi, lette in combinato disposto con quelle dell’art. 217, rubricato “Determinazioni facoltative”, in luogo di “Determinazioni”.
L’art. 217, al comma 1, stabilisce, infatti, che “Quando l’acquisizione del parere o della determinazione non è obbligatoria, le determinazioni del collegio consultivo tecnico assumono natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter del codice di procedura civile se le parti, successivamente alla nomina del Presidente e non oltre il momento dell’insediamento del collegio, non abbiano diversamente disposto. La possibilità che la pronuncia del collegio consultivo tecnico assuma natura di lodo contrattuale è esclusa nei casi in cui è richiesta una pronuncia sulla risoluzione, sulla sospensione coattiva o sulle modalità di prosecuzione dei lavori”. Il comma 2 specifica ulteriormente che “Se le parti, ai sensi di quanto disposto dal comma 1, escludono che la determinazione possa valere come lodo contrattuale, la stessa, anche se facoltativa, produce comunque gli effetti di cui al comma 3 dell’articolo 215”.
L’ambito di operatività della previsione in esame non può che ricavarsi per esclusione dalla lettura delle due norme. Ciononostante, riesce difficile immaginare quale possa essere lo spazio di operatività in concreto di questa disposizione, dal momento che la pronuncia del Collegio è, comunque, obbligatoria, oltre che nei casi di iscrizione di riserve e di proposte di variante, “in relazione ad ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione del contratto”.
Inoltre, proprio in ragione dell’ampliamento del raggio d’azione del Collegio, sorprende che una delle ipotesi per le quali era previsto, in origine, l’intervento obbligatorio del CCT, ossia la sospensione coattiva, figuri ora nel testo dell’art. 217, deputato, di contro, a disciplinare i casi di “Determinazioni facoltative”.
Quanto, infine, al valore da riconoscere alle pronunce del Collegio, occorre ricordare che la possibilità che la decisione del Collegio assuma natura di lodo contrattuale è esclusa nei casi in cui è richiesta una pronuncia sulla “risoluzione, sulla sospensione coattiva o sulle modalità di prosecuzione dei lavori” (art. 217, comma 1, ultimo periodo).

7. Le riunioni periodiche.

Un ulteriore elemento di novità si ricava dalla lettura dell’art. 4, comma 3, ultimo periodo, dell’All. V.2, che estende a tutti i Collegi l’obbligo di “svolgere riunioni periodiche per monitorare l’andamento dei lavori” e di “formulare, ove ritenuto opportuno, osservazioni alle parti”, già previsto dal punto 4.1.2. delle Linee guida M.I.M.S. in relazione alle opere comprese o finanziate, in tutto o in parte, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Piano Nazionale Complementare (PNC).
Al netto della modifica – che non ha incontrato il parere favorevole del Consiglio di Stato, che, difatti, ne aveva suggerito l’espunzione[6] – e a prescindere dal fatto che saranno i singoli Collegi a stabilire la periodicità delle riunioni, anche in ragione della complessità dei contratti, e a informarne le parti, continua a non essere chiaro (come nel sistema previgente) il valore da riconoscere, in concreto, alle osservazioni eventualmente formulate dal Collegio alle parti, così come rimangono ignote le conseguenze discendenti da un’eventuale violazione delle medesime.

8. I compensi.

Il Correttivo è intervenuto anche sulla disciplina dei compensi.
Il nuovo art. 1, comma 4, dell’All. V.2 stabilisce che la parte fissa del compenso del Collegio (e non del compenso spettante ai singoli componenti) non può superare gli importi definiti dall’art. 6, comma 7-bis, del d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto Semplificazioni)[7] e, in ogni caso:
a) l’importo pari allo 0,02% per la parte del valore dell’appalto eccedente i 1000 milioni di euro, in caso di Collegio composto da tre componenti;
b) l’importo pari allo 0,03% per la parte del valore dell’appalto eccedente i 1000 milioni di euro, in caso di Collegio composto da cinque componenti.
È poi il comma 5, primo periodo, a ribadire che “il compenso complessivo spettante al Collegio non può superare il triplo della parte fissa” e a precisare – innovando sul punto la disciplina previgente – che i componenti del Collegio hanno diritto a un rimborso delle spese a carattere non remunerativo.
La definizione dei parametri per la determinazione dei compensi e delle spese non aventi valore remunerativo – da rapportare al valore del contratto e alla complessità dell’opera, nonché all’esito e alla durata dell’impegno richiesto e al numero e alla quantità delle determinazioni assunte, prevedendone l’erogazione secondo un principio di gradualità– non è però contenuta all’interno del Codice, ma è demandata ad apposite Linee guida, da adottare con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo parere conforme del Consiglio superiore dei lavori pubblici (art. 1, comma 6, All. V.2).
La scelta del Legislatore non ha incontrato il parere favorevole del Consiglio di Stato, che con il parere n. 1463/2024, ha formulato le seguenti osservazioni:
i. “appare opportuno che i criteri di determinazione del compenso, corredati da tabelle di quantificazione, siano direttamente previsti nell’Allegato, con una formulazione la più chiara ed esauriente possibile” (cfr. punto 84.2, lett. c);
ii. “non appare chiara la previsione che aggiunge al compenso dovuto a favore dei componenti le spese «non aventi valore remunerativo» (concetto in sé ossimorico); inoltre, la definizione di tali compensi e spese non dovrebbe essere demandata alle linee guida ministeriali, ma dovrebbe trovare disciplina nel Codice, in modo da renderne nota l’entità in modo trasparente e stabile pur se soggetta a regolamento di delegificazione” (v. punto 84.2, lett. c).
Nelle more dell’adozione delle nuove Linee guida continueranno ad applicarsi, rispetto alla determinazione dei compensi, le Linee guida M.I.M.S. (art. 1, comma 6, ultimo periodo, All. V.2).
Altri elementi di novità si ricavano dalle previsioni che seguono.
L’art. 1, comma 5, ultimo periodo, dell’All. V.2 stabilisce che ai componenti del collegio consultivo tecnico non si applica l’art. 3 della l. n. 136/2010 in materia di tracciabilità dei flussi finanziari. Ciò significa che ai componenti dei Collegi non potrà più essere richiesta l’apertura di conti correnti appositamente dedicati (ancorché in via non esclusiva) all’incarico e che si dovrebbe poter procedere, previo assenso delle parti, alla chiusura dei conti correnti medio tempore già aperti in relazione ai CCT già costituiti.
È stato previsto, infine, che, in caso di sostituzione del componente dimissionario, il compenso spettante al sostituto “sarà pari alla parte fissa non ancora maturata dal componente dimissionario e alla parte variabile che dovesse maturare” (art. 5, comma 3, ultimo periodo, All. V.2).
In relazione a quest’ultimo aspetto, pur essendo vero che la questione non dovrebbe porsi pro futuro, vista la codificazione del principio di gradualità nell’erogazione dei compensi, una qualche indicazione di maggior dettaglio (specie se di carattere operativo) avrebbe potuto “orientare” la risoluzione delle problematiche connesse con la ripetizione delle somme spettanti al sostituto nell’ipotesi in cui la parte fissa del compenso sia stata corrisposta in un’unica soluzione e non a rate.

9. Lo scioglimento del collegio consultivo tecnico.

Ai sensi dell’art. 219, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023, “Il collegio consultivo tecnico è sciolto al termine dell’esecuzione del contratto oppure, nelle ipotesi in cui non ne è obbligatoria la costituzione, anche in un momento anteriore su accordo delle parti”.
La disposizione in esame è stata innovata dal Correttivo con l’aggiunta del comma 1-bis.
In particolare, in base al precitato comma 1-bis, il contratto si considera eseguito alla data di sottoscrizione dell’atto di collaudo o di regolare esecuzione (n.d.r. certificato di collaudo o di regolare esecuzione), salvo che non sussistano riserve o altre richieste in merito al collaudo stesso; in quest’ultima ipotesi, il Collegio è sciolto con l’adozione della relativa pronuncia.
Deve presumersi, ragionando per analogia, che nel caso di servizi e forniture, il contratto si considererà eseguito al momento della sottoscrizione del certificato di verifica di conformità o di regolare esecuzione, salva la possibilità – trattandosi di un’ipotesi di costituzione facoltativa – di scioglimento anticipato del Collegio previo accordo delle parti.

10. La segreteria tecnico amministrativa.

Per i lavori di particolare complessità (da ricondursi presumibilmente agli appalti di lavori complessi, per come definiti dall’art. 2, lett. d), dell’All. I.1 al Codice) il Collegio si avvale (e non “può decidere di avvalersi, previa adeguata motivazione” in qualsiasi momento, come previsto dal previgente punto 4.4.1. delle Linee guida M.I.M.S.) di una segreteria tecnico amministrativa per le attività istruttorie e di supporto amministrativo, composta da uno o più componenti, scelti e nominati dal presidente (art. 8, comma 1, All. V.2).
L’art. 8 dell’All. V.2 non contiene alcun riferimento ai requisiti richiesti per la nomina a componente della segreteria tecnico amministrativa, né allude al possesso di specifiche competenze.
Ciononostante, è verosimile che i presidenti dei Collegi continuino a scegliere i componenti della segreteria tra persone di loro fiducia, in possesso di competenze adeguate all’incarico da assumere; al tempo stesso, è plausibile che i componenti della segreteria continueranno a rendere a verbale una dichiarazione che attesti, se non altro, l’insussistenza di cause di incompatibilità a loro carico.
Quanto al compenso, alla segreteria tecnico amministrativa è ora riconosciuto “un compenso in misura determinata dal 3 al 10 per cento del compenso spettante a ogni singolo componente del CCT” (art. 8, comma 2, primo periodo, All. V.2) e non più “un compenso fino ad un massimo del 20% dei compensi fissi e variabili di ciascun componente del CCT, a carico degli stessi componenti del CCT”, come previsto dal previgente punto 7.6.1. delle Linee guida M.I.M.S.
Il compenso, pur continuando a essere posto a carico dei componenti del CCT, verrà poi “liquidato direttamente a cura delle parti con le medesime modalità e tempistiche previste per i componenti del Collegio” (art. 8, comma 2, secondo periodo, All. V.2).

11. L’Osservatorio permanente.

Il Correttivo è intervenuto anche sulla disciplina dell’Osservatorio permanente, istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, ridisegnando la disciplina dell’accesso agli atti detenuti dall’Osservatorio stesso.
Se le Linee guida M.I.M.S. stabilivano, al punto 8.1.3., che “L’Osservatorio garantisce l’accesso, da parte dei soggetti interessati ai sensi della legge n. 241/1990 e l’accesso civico ai sensi del decreto legislativo n. 33/2013, ai dati in proprio possesso”, l’art. 6, comma 3, dell’All. V.2 dispone che l’accesso agli attidetenuti dall’Osservatorio e dai Collegi è consentito “nei limiti di legge e salve le disposizioni del codice di procedura civile in relazione alle determinazioni dei collegi aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del medesimo codice di procedura civile, mediante istanza formulata alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti in base agli articoli 35 e 36 del codice”.
La previsione in esame pare, a una prima lettura, foriera di criticità.
Da un lato, non è chiaro a cosa il Legislatore intenda riferirsi con l’inciso “salve le disposizioni del codice di procedura civile in relazione alle determinazioni dei collegi aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del medesimo codice di procedura civile”. Dall’altro, il rinvio all’art. 36 del d.lgs. n. 36/2023 pare erroneo, considerato che tale disposizione reca una disciplina c.d. “super speciale” e presuppone che l’accesso agli atti e ai documenti elencati in corrispondenza del comma 1 (n.d.r. offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, verbali di gara, atti, dati e informazioni presupposti all’aggiudicazione) abbia luogo senza la presentazione di alcuna istanza.
Se ne desume che occorrerà, al più, riferirsi all’art. 35, comma 1, del Codice, a mente del quale le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in modalità digitale, l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici “ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.
Nonostante ciò, residuano diversi interrogativi in relazione, a mero titolo esemplificativo: i) ai soggetti che assumono la veste di controinteressati ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. c), della l. n. 241/1990, considerato che gli atti detenuti dall’Osservatorio si riferiscono agli atti di costituzione e di scioglimento del Collegio e alle principali pronunce assunte; ii) ai rapporti tra le stazioni appaltanti e gli enti concedenti e l’Osservatorio, visto che è quest’ultimo il soggetto a cui i presidenti trasmettono i documenti richiamati in corrispondenza del punto i) che precede, essendo incaricato, ex lege, di “assicurare il monitoraggio dell’attività dei collegi consultivi tecnici” (art. 6, comma 1, All. V.2).

12. Brevi considerazioni finali.

L’intervento del Legislatore era atteso proprio per via delle incertezze interpretative che si erano riscontrate a livello applicativo.
Se la novella ha chiarito alcuni aspetti, altri sono rimasti irrisolti, altri sono destinati ad emergere con l’applicazione delle nuove norme e altri, ancora, affioreranno quando si assisterà all’emanazione delle nuove Linee guida ministeriali in tema di compensi.
Se l’obiettivo di fondo era il potenziamento dell’istituto, al momento non si riesce ad intravedere con nitidezza la ricaduta pratica delle novità introdotte, in special modo in assenza dell’attenuazione del principio della domanda di parte, che, anche nel sistema attuale, continua a “governare” l’attività dei collegi consultivi tecnici, persino nelle ipotesi di acquisizione obbligatoria anche solo del parere del CCT.

Note

[1] La questione del ritardo nella costituzione del CCT è stata affrontata, con riferimento a un’ipotesi di ritardo imputabile alla stazione appaltante, anche nella delibera ANAC n. 231 dell’8 maggio 2024, con cui si è confermato “il ritardo intercorso nella costituzione del CCT (a tutt’oggi non formalizzata), non potendosi assumere quale elemento esimente il prospettarsi delle condizioni dichiarate dalla S.A. per addivenire ad un recesso contrattuale, con conseguente valutazione circa l’opportunità di «non procedere alla nomina dei propri componenti e alla individuazione del Presidente»”.

[2] Per questa ragione, il Consiglio di Stato aveva suggerito di inserire, alla fine del primo periodo, il seguente ulteriore periodo: “I componenti del collegio in quanto tali esercitano una funzione giustiziale di pubblico interesse e non sono perciò, sotto nessun profilo, qualificabili come operatori economici che prestano servizi a favore delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori, né la costituzione del collegio e la scelta dei suoi componenti è riconducibile, in alcun modo, ad una selezione competitiva ad evidenza pubblica disciplinata dal presente Codice”.
[3] Relazione illustrativa allo “Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante «Delega al Governo in materia di contratti pubblici»”, p. 251.
[4] Si veda al riguardo la delibera ANAC n. 22 del 22 gennaio 2025, nella parte in cui si afferma che “La previsione sembra quindi volta ad evitare situazioni nelle quali il coinvolgimento in precedenti fasi del ciclo dell’affidamento possa incidere sullo svolgimento in modo obiettivo dei compiti affidati al CCT, e cioè sulla risoluzione delle dispute emerse in fase esecutiva, che potrebbero astrattamente riguardare compiti o prestazioni svolti dal medesimo soggetto in precedenza. In particolare, può ritenersi che la ratio sia volta ad evitare che un soggetto che abbia svolto un ruolo determinante nella verifica della progettazione possa pronunciarsi su una disputa relativa alla progettazione stessa, eventualmente emersa in fase esecutiva. (…) appare necessario un approccio sostanzialistico nell’individuazione dei soggetti e dei compiti svolti in precedenza e che poi danno luogo al divieto, non tanto legato al formale conferimento di un incarico, quanto ad uno svolgimento effettivo delle attività di verifica della progettazione che poi precludono l’assunzione dell’incarico di membro del CCT. In sintesi, deve ritenersi che colui che abbia svolto un qualsiasi ruolo sostanzialmente incidente sull’attività di verifica della progettazione di un’opera non possa poi assumere l’incarico di componente del CCT del relativo contratto. La rilevanza del ruolo svolto non può che essere valutata in concreto, rispetto alle effettive attività svolte dal soggetto, ma in ogni caso con un approccio prudenziale connaturato alla ratio essendi delle incompatibilità che giocoforza mirano ad evitare il verificarsi di situazioni astrattamente incidenti sul bene giuridico tutelato, e cioè l’oggettività dei giudizi cui è chiamato il CCT. Ed appare evidente che se un soggetto abbia in precedenza contribuito a verificare un progetto non possa essere oggettivo nel valutare eventuali e successive dispute che dovessero sorgere sul medesimo progetto”.
[5] Specularmente, “Il soggetto che, avendo ricoperto l’incarico di componente o presidente del Collegio consultivo tecnico, sia nominato Consulente tecnico d’ufficio in un giudizio avente ad oggetto il medesimo affidamento, è tenuto a rifiutare l’incarico oppure ad astenersi ai sensi dell’articolo 192 c.p.c., ricorrendo l’ipotesi di cui all’articolo 51, comma 1, del medesimo codice” (così ANAC, 9 marzo 2021, delibera n. 206).
[6] Così Cons. Stato, parere n. 1463/2024, cit., sub punto 84.3, laddove si afferma che “tale prescrizione appare distonica rispetto alla funzione di carattere decisorio dell’organo e rischia di snaturarne la natura giustiziale”.
[7] Ai sensi dell’art. 6, comma 7-bis, del d.l. n. 76/2020, “In ogni caso, i compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico, determinati ai sensi del comma 7, non possono complessivamente superare con riferimento all’intero collegio:
a) in caso di collegio consultivo tecnico composto da tre componenti:
1) l’importo pari allo 0,5 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro;
2) l’importo pari allo 0,25 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro;
3) l’importo pari allo 0,15 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 100 milioni di euro e fino a 200 milioni di euro;
4) l’importo pari allo 0,10 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 200 milioni di euro e fino a 500 milioni di euro;
5) l’importo pari allo 0,07 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 500 milioni di euro;
b) in caso di collegio consultivo tecnico composto da cinque componenti:
1) l’importo pari allo 0,8 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro;
2) l’importo pari allo 0,4 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro;
3) l’importo pari allo 0,25 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 100 milioni di euro e fino a 200 milioni di euro;
4) l’importo pari allo 0,15 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 200 milioni di euro e fino a 500 milioni di euro;
5) l’importo pari allo 0,10 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 500 milioni di euro”.

 

Fonte: Appalti e Contratti – sezione Professionisti e Imprese.

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LA TUTELA DELLE MPMI NEL CORRETTIVO AL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
  1. introduzione

Come è noto, lo scorso 31 dicembre 2024 è entrato in vigore, contestualmente alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (Serie Generale n. 305, Suppl. Ord. n. 45/L), il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209, recante “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (c.d. “Correttivo”).

Tra le aspirazioni del provvedimento vi è quella di continuare a promuovere l’accesso delle micro, piccole e medie imprese (MPMI)[1] al mercato dei contratti pubblici, anche alla luce delle difficoltà da queste rappresentate e dei dati raccolti nell’ambito delle consultazioni che hanno preceduto l’adozione del Correttivo (cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, p. 11, sub § 3.7).

L’intervento si pone nel solco di un percorso iniziato nel 2008 con lo Small Business Act e attuato, dapprima, con il d.lgs. n. 50/2016, in seguito con il d.l. n. 77/2021 (c.d. decreto Governance) per il tramite della previsione contenuta nell’art. 47-quater e, ora, con il nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, attraverso tutta una serie di misure, che spaziano dai requisiti di partecipazione, ai criteri di selezione, alla suddivisione in lotti, per arrivare sino ai criteri premiali per la valutazione delle offerte, alla riduzione degli importi delle garanzie, al pagamento diretto dei subappaltatori che assumano la qualifica di PMI.

Ciononostante, e ancorché il tessuto produttivo italiano risulti composto in larghissima parte da micro, piccole e medie imprese (il 99,8%)[2], l’accesso di queste ultime al mercato dei contratti pubblici continua a contraddistinguersi per la presenza di significative barriere all’ingresso. Problemi analoghi si registrano anche rispetto all’aggiudicazione delle procedure di evidenza pubblica: un recente studio europeo[3] ha evidenziato che le MPMI si aggiudicano mediamente una percentuale di gare significativamente inferiore rispetto a quella raccomandata dalla Commissione europea (45-60%) in molti Stati membri (tra cui l’Italia, la Francia e il Portogallo)[4].

Il Correttivo interviene sul sistema vigente, principalmente attraverso due misure, in parte ispirate – come si è avuto modo di approfondire in una precedente newsletter[5] – dalle legislazioni di altri Stati membri dell’Unione europea:

  1. la facoltà, riconosciuta alle stazioni appaltanti, di optare per contratti da riservare alle PMI nel caso di affidamenti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea (cfr. art. 24, lett. c), del d.lgs. n. 209/2024);
  2. la previsione – riferita ai contratti di subappalto – di una quota minima di prestazioni subappaltabili (non inferiore al 20%) da destinare alle MPMI, salvo una diversa quota da indicare in sede di offerta (v. art. 41, lett. a), del d.lgs. n. 209/2024).
  3. le ipotesi di riserva a favore delle mpmi in relazione alle procedure di importo inferiore alla soglia di rilevanza europea

L’art. 24, lett. c), del Correttivo modifica l’art. 61 del Codice dei contratti pubblici, attraverso l’aggiunta del comma 2-bis, ove si prevede che, per gli affidamenti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, tenuto conto dell’oggetto e delle caratteristiche delle prestazioni o del mercato di riferimento, possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e di concessione o possono riservarne l’esecuzione alle piccole e medie imprese.

La disposizione non si applica se la stazione appaltante accerta l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, ai sensi dell’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023.

Si tratta di una misura innovativa (definita anche in termini di “rivoluzione epocale”[6]) che, nell’introdurre una nuova e autonoma ipotesi di riserva, attribuisce una facoltà di scelta alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti, chiamati a valutare se l’oggetto e le caratteristiche delle prestazioni o del mercato di riferimento siano compatibili con l’attivazione di una riserva a favore delle MPMI.

La previsione “non si pone, ad una valutazione prima facie, in contrasto con le direttive europee e (…), con ogni evidenza, è ispirata al favor per l’accesso al mercato delle micro, piccole e medie imprese (di cui costituiscono espressione anche e inter alia – come chiarito dalla relazione illustrativa – le modifiche introdotte alla disciplina dei consorzi, al regime della divisione in lotti, alla prefigurazione dei criteri premiali di attribuzione dei punteggi di gara, alla disciplina del subappalto)”[7].

Non si può, invece, escludere a priori che la decisione (necessariamente motivata) della stazione appaltante o dell’ente concedente di esercitare tale facoltà possa divenire oggetto, laddove considerata lesiva, di un obbligo di impugnazione immediata, poiché avente natura immediatamente escludente, secondo la nota definizione fornita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella pronuncia n. 4/2018.

La disposizione in esame contempla, nello specifico, due possibilità:

  1. quella di intervenire a monte, nella fase di selezione dei partecipanti alla procedura, riservando la partecipazione alle PMI;
  2. quella di intervenire a valle, nella fase di esecuzione. In relazione a quest’ultima ipotesi non risulta completamente chiaro il meccanismo di operatività della riserva, anche alla luce della nullità comminata, dall’art. 119, comma 1, terzo periodo, del d.lgs. n. 36/2023, agli accordi con cui venga affidata a terzi “l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni appaltate, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative alla categoria prevalente e dei contratti ad alta intensità di manodopera”.

Lo strumento che si commenta risulta già presente, in forme simili, anche in altri paesi dell’Unione Europea, quali, ad esempio, il Portogallo.

Il Código Dos Contratos Públicos contempla, all’art. 54A[8], la possibilità di riservare la partecipazione alle MPMI nelle:

  1. procedure per l’aggiudicazione di contratti di locazione o di acquisto di beni mobili o di servizi di valore inferiore alle soglie di rilevanza europea;
  2. procedure d’appalto di lavori o di concessione di servizi e lavori di valore inferiore ad EUR 500.000.
  3. l’obbligo di garantire una quota minima alle mpmi in caso di subappalto

L’altra novità di rilievo è rappresentata dalle modifiche apportate, dall’art. 41, lett. a), del Correttivo al testo dell’art. 119, comma 2, del Codice dei contratti pubblici in tema di subappalto, attraverso l’aggiunta del quinto e del sesto periodo, che così dispongono: “I contratti di subappalto sono stipulati in misura non inferiore al 20% delle prestazioni subappaltabili con piccole e medie imprese, come definite dall’articolo 1, comma 1, lettera o) dell’allegato I.1. Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta una diversa soglia di affidamento delle prestazioni che si intende subappaltare alle piccole e medie imprese per ragioni legate all’oggetto o alle caratteristiche delle prestazioni o al mercato di riferimento”.

La soglia del 20% non costituisce un valore assoluto, tant’è che gli operatori economici possono indicare, in sede di offerta, una diversa soglia di affidamento delle prestazioni che intendono subappaltare alle PMI (in luogo delle prestazioni subappaltabili previste nel testo sottoposto all’esame parlamentare).

Si tratta di una novità indubbiamente significativa per il nostro ordinamento, ancorché la medesima non risulti sconosciuta in altri paesi dell’Unione Europea, come la Francia.

Da tempo, infatti, il combinato disposto degli artt. L2171-8[9] e R2171-23[10] del Code de la Commande Publique (“CCP”) obbliga – salvo eccezioni – gli operatori economici che si aggiudicano “appalti globali”, ossia appalti pubblici che derogano alla regola della suddivisione in lotti, ad affidare alle piccole e medie imprese o agli artigiani una quota minima di esecuzione del contratto, che, a far data dal 1° gennaio 2025, è stata innalzata dal 10% al 20%. L’art. R2171-23 prevede, al fine di garantire maggiore flessibilità, che la riserva a favore delle MPMI non operi laddove la “struttura economica del settore” non lo consenta.

  1. altre misure a favore delle mpmi

Vi sono, all’interno del Correttivo, anche altre previsioni che si muovono nel segno di un maggior favor nei confronti delle MPMI. Basti qui accennare, ancorché senza alcuna pretesa di esaustività, anche solo allo strumento dell’accordo di collaborazione disciplinato dal nuovo art. 82-bis del d.lgs. n. 36/2023 che annovera – tra gli obiettivi collaterali (cfr. art. 3, comma 4, dell’All. II.6-bis), al raggiungimento dei quali possono essere previsti meccanismi di premialità – “la promozione della partecipazione ai subappalti o sub-contratti delle piccole e medie imprese con sede operativa nell’ambito territoriale di riferimento per le prestazioni di cui all’articolo 108, comma 7, terzo periodo” (e, dunque, per le prestazioni dipendenti dal principio di prossimità per la loro efficiente gestione).

  1. conclusioni

Le misure introdotte dal Correttivo appaiono particolarmente interessanti per rafforzare le chances delle MPMI di aggiudicarsi le gare, specialmente se sotto la soglia di interesse transfrontaliero, rispetto alla quale non è certo ragionevole ipotizzare un contrasto della novella con il diritto europeo.

Al di sopra della soglia europea, le misure premiali e le strategie di coinvolgimento delle MPMI appaiono di estremo interesse e dovranno spingere tutti gli operatori alla creazione di alleanze sinergiche, capaci di creare reti affidabili e aggregazioni sempre più ampie.

[1] La definizione di MPMI è contenuta nell’art. 1.1, lett. o), dell’All. I.1 al d.lgs. n. 36/2023. In particolare, “Nel codice si intende per: (…) o) «micro, piccole e medie imprese», le imprese come definite nella raccomandazione n. 2003/361, della Commissione europea, del 6 maggio 2023”.

Quest’ultima reca, all’art. 2, le seguenti definizioni:

  • la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR;
  • nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR;
  • nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR.

Tale precisazione si rende necessaria in quanto, spesso, le norme codicistiche fanno riferimento alle sole piccole e medie imprese, senza che ciò comporti l’esclusione delle microimprese dall’ambito d’applicazione soggettivo delle stesse: è, infatti, la raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione europea a far rientrare le microimprese nella più ampia categoria delle PMI.

[2] Così certifica l’Istat e riporta lo studio europeo The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile all’indirizzo internet: https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.

[3] European Parliament: Directorate-General for Internal Policies of the Union, a cura di V. Caimi e S. Sansonetti, The social impact of public procurement – Can the EU do more?, 2023, disponible all’indirizzo internet: https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.

[4] Occorre tuttavia tenere in considerazione che i dati si riferiscono alle procedure al di sopra delle soglie di rilevanza europee, a cui spesso le MPMI non partecipano.

[5] Per ulteriori approfondimenti si veda il seguente contributo: L’accesso delle PMI alle procedure di evidenza pubblica: analisi comparatistica e spunti evolutivi, 11 novembre 2021, disponibile all’indirizzo internet: https://www.studiovalaguzza.it/laccesso-delle-pmi-alle-procedure-di-evidenza-pubblica-analisi-comparatistica-e-spunti-evolutivi/.

[6] Così G. Piga e G. Scognamiglio, Correttivo codice appalti, una prima apertura alle PMI, in Norme & Tributi Plus. Enti Locali e Edilizia, Fine modulo18 novembre 2024.

[7] Cons. Stato, Commissione speciale, 2 dicembre 2024, parere n. 1463, sub punto17.3, in www.giustizia-amministrativa.it.

[8]  « As entidades adjudicantes podem reservar a possibilidade de ser candidato ou concorrente às:

(…);

  1. b) Micro, pequenas ou médias empresas devidamente certificadas nos termos da lei, em procedimentos para a formação de:
  2. i) Contratos de locação ou aquisição de bens móveis ou de aquisição de serviços de valor inferior aos limiares referidos nas alíneas b) ou c) do n. º 3 do artigo 474.º, consoante o caso;
  3. ii) Contratos de empreitada de obras públicas ou de concessão de serviços públicos e de obras públicas de valor inferior a (euro) 500 000 ».

(…)”.

[9] “Le marché global prévoit la part minimale de l’exécution du contrat que le titulaire s’engage à confier à des petites et moyennes entreprises ou à des artisans. Cette part minimale est établie dans des conditions prévues par voie réglementaire”.

[10] “Si le titulaire d’un marché global n’est pas lui-même une petite ou moyenne entreprise ou un artisan, la part minimale qu’il s’engage à confier, directement ou indirectement, à des petites et moyennes entreprises ou à des artisans, en application de l’article L. 2171-8, est fixée à 20 % du montant prévisionnel du marché, sauf lorsque la structure économique du secteur concerné ne le permet pas.

Le taux mentionné au premier alinéa peut être modifié par décret”.

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LE NOVITÀ DEL CORRETTIVO IN MATERIA DI REVISIONE PREZZI

In data 31 dicembre 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale n. 305, Suppl. Ord. n. 45/L, il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209, recante “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (c.d. “Correttivo”).

Il Correttivo è entrato in vigore in pari data in virtù della disposizione contenuta nell’art. 97.

L’art. 23 apporta tutta una serie di modifiche/aggiunte/sostituzioni ai commi 1, 2, 3, 4 dell’art. 60 del d.lgs. n. 36/2023 e inserisce i nuovi commi 2-bis, 4-bis, 4-ter e 4-quater.

Il citato art. 60 – collocato nel Libro II (“Dell’appalto”), Parte II (“Degli istituti e delle clausole comuni”) – ha rappresentato una delle principali novità del d.lgs. n. 36/2023, avendo il legislatore reso obbligatorio l’inserimento, nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento, delle clausole di revisione prezzi, che – pur non apportando modifiche che alterino la natura generale del contratto o dell’accordo quadro – si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio.

Come emerge dalla Relazione illustrativa di accompagnamento allo schema di decreto legislativo sottoposto all’esame parlamentare (d’ora in avanti, anche solo la “Relazione illustrativa”), la tematica dell’applicazione delle clausole di revisione dei prezzi ha rappresentato una delle principali linee di intervento del Correttivo, avendo costituito oggetto di studio e di concertazione con tutti gli operatori del settore, grazie all’istituzione di un apposito Tavolo tecnico, costituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha organizzato i propri lavori, strutturandosi in due “sub-componenti” alle quali hanno, rispettivamente, partecipato gli stakeholders operanti nel settore degli appalti di lavori e quelli operanti nel settore degli appalti di servizi e forniture (cfr. p. 9, sub § 3.5 “Revisione prezzi”).

Il dibattito scaturito in seno al suddetto Tavolo di lavoro si è incentrato, principalmente, sull’individuazione di nuovi indici sintetici tramite i quali commisurare e parametrare l’incremento dell’importo contrattuale, nonché sul dies a quo a partire dal quale calcolare la variazione (in aumento o in diminuzione) del predetto importo.

All’esito del dibattito, si è inteso confermare il sistema delineato dal Codice, “garantendo, tuttavia, una piena attuazione del medesimo attraverso criteri di calcolo di agevole implementazione”.

In risposta a tali esigenze, si è resa necessaria anche l’introduzione, ad opera dell’art. 86 del Correttivo, del nuovo Allegato II.2-bis, rubricato “Modalità di applicazione delle clausole di revisione dei prezzi”, disciplinante le modalità di attuazione delle clausole revisionali per il tramite della relativa disciplina di dettaglio.

*

È bene ricordare, in termini generali, che l’operatività del meccanismo della revisione dei prezzi comporta, al ricorrere di particolari condizioni di natura oggettiva, la definizione di un “nuovo” corrispettivo previsto per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla variazione dei prezzi registrata in un determinato arco temporale, con beneficio per entrambi i contraenti. L’istituto ha, infatti, la finalità di salvaguardare:

  1. da un lato, l’interesse pubblico a che le prestazioni oggetto del contratto non vengano esposte, nei rapporti contrattuali di durata, al rischio di una diminuzione qualitativa per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, con conseguente incapacità dell’appaltatore di farvi fronte;
  2. dall’altro, l’interesse dell’impresa a non subire perdite economiche dovute all’alterazione dell’equilibrio contrattuale per effetto di modifiche inattese sopraggiunte nel corso del rapporto[1] [2].

L’istituto è applicabile a tutti i contratti di lavori, servizi e forniture, fermo il limite dell’immodificabilità della natura generale del contratto o dell’accordo quadro[3]. Tale sistema si basa su un modello di indicizzazione[4], finalizzato a rendere più rapido e sicuro il mantenimento nel tempo del sinallagma contrattuale, superando così la metodologia della compensazione ex post, di carattere meramente emergenziale[5].

L’istituto poggia sul principio, codificato all’art. 9 del Codice, di conservazione dell’equilibrio contrattuale, a tenore del quale “1. Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. (…). 5. In applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale si applicano le disposizioni di cui agli articoli 60 e 120”[6].

Con l’istituto in esame, il legislatore ha quindi inteso introdurre nell’ordinamento – in conformità al principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale originario, così come cristallizzatosi al momento dell’aggiudicazione (cfr. art. 9, comma 5) – un “sistema revisionale permanente, affidato ad un meccanismo di indicizzazione automatica, destinato ad operare durante tutta la vita del contratto di appalto, e in grado di consentire periodicamente alle stazioni appaltanti e agli operatori economici di monitorarne l’effettivo andamento economico”[7].

*

L’art. 23, comma 1, lett. a), del Correttivo ha modificato l’art. 60, comma 1, del Codice, precisando, in chiusura della norma, che le clausole di revisione prezzi si riferiscono alle prestazioni oggetto del contratto. È stato, dunque, accolto il suggerimento, contenuto nel parere n. 1463 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato in data 27 novembre 2024 e pubblicato il successivo 2 dicembre, che esortava all’espunzione del riferimento al concetto di “lavorazioni” presente nello Schema di decreto, in quanto considerato superfluo “perché nulla aggiunge al riferimento comprensivo alle «prestazioni» che costituiscono, volta a volta, oggetto del contratto, anche relativamente agli appalti di lavori” (cfr. punto 16.1).

*

Inoltre, l’art. 23, comma 1, lett. b), ha sostituito il comma 2 dell’articolo 60 del Codice, al fine di chiarire con maggiore evidenza, così come emerso in seno al Tavolo tecnico sulla revisione prezzi, le soglie di attivazione delle clausole revisionali.

A tale scopo, il legislatore ha scelto di subordinare l’attivazione delle clausole revisionali a condizioni diverse, sotto i profili dell’an e del quantum, a seconda che la variazione del costo operi in relazione a un contratto d’appalto di lavori o di servizi e forniture, abbandonando il precedente “accorpamento”[8] e non accogliendo, sul punto, le osservazioni elaborate dalle competenti Commissioni parlamentari[9].

Pertanto, a seguito della novella, le clausole revisionali “si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano”:

  1. per gli appalti di lavori: una variazione del costo dell’opera, in aumento o in diminuzione, superiore al 3% dell’importo complessivo. In tal caso, le clausole revisionali operano nella misura del 90% del valore eccedente la variazione del 3% applicata alle prestazioni da eseguire;
  2. per gli appalti di servizi e forniture: una variazione del costo della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5% dell’importo complessivo. In tale ipotesi, le clausole revisionali operano nella misura dell’80% del valore eccedente la variazione del 5% applicata alle prestazioni da eseguire.

*

Sebbene inizialmente non prevista dallo Schema di decreto legislativo sottoposto all’esame parlamentare, a completamento della suddetta disciplina, assume rilievo l’introduzione del nuovo comma 2-bis all’art. 60 del Codice, ad opera dell’art. 23, comma 1, lett. c, del Correttivo.

Con tale norma, il legislatore ha precisato che, per gli appalti di servizi e forniture, resta ferma la facoltà di inserire nel contratto, oltre alle clausole di revisione prezzi di cui all’art. 60, comma 1, “meccanismi ordinari di adeguamento del prezzo del contratto all’indice inflattivo convenzionalmente individuato tra le parti”, specificando, altresì, che, in dette ipotesi, l’incremento di prezzo riconosciuto in virtù di tali meccanismi non è considerato nel calcolo della variazione del costo del servizio o della fornitura rilevanti ai sensi dell’art. 60, comma 2, lett. b), ai fini dell’attivazione delle clausole revisionali.

*

Per quel che concerne le modalità attuative, all’esito del confronto tra le Istituzioni, l’ISTAT e gli stakeholders di settore, svoltosi in seno al Tavolo tecnico, sono emerse delle criticità in merito al metodo di definizione degli indici sintetici individuato dall’ISTAT e adottato fino a quel momento (cfr. Relazione illustrativa, p. 31). Alla luce di tali criticità, il Tavolo tecnico ha ritenuto opportuno individuare nuovi indici sintetici in grado di dare la più ampia copertura possibile alle voci di costo degli affidamenti sia di lavori che di servizi e forniture.

Si colloca, dunque, in questo contesto, la modifica apportata all’art. 60, comma 3, del Codice, dall’art. 23, comma 1, lett. d), punti nn. 1, 2, 3. In particolare:

  1. proprio alla luce delle suddette criticità, è stato soppresso, in relazione agli indici sintetici da utilizzare ai fini della determinazione della variazione dei costi e dei prezzi, il riferimento alle parole “elaborati dall’ISTAT”;
  2. la a) prevede ora che, per la determinazione della variazione dei costi e dei prezzi, con riguardo ai contratti di lavori, si utilizzano gli indici sintetici individuati dal nuovo comma 4-quater, il quale rimanda al nuovo Allegato II.2-bis;
  • con riguardo ai contratti di servizi e forniture, la modifica apportata alla b), consente l’utilizzo degli indici dei prezzi al consumo, dei prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi e degli indici delle retribuzioni contrattuali orarie anche in forma disaggregata. La ratio di tale previsione si rinviene nell’esigenza di fornire una risposta quanto più possibile adeguata alle ipotesi in cui un servizio o una fornitura rientrino in due o più categorie, individuate secondo il sistema unico europeo di classificazione (c.d. CPV), in relazione alle quali si ritiene opportuno procedere ad un’applicazione disaggregata dei diversi indici ad esse associati.

*

Infine, l’art. 23, comma 1, lett. e) e f), del Correttivo:

  1. sostituisce il comma 4 dell’art. 60 del Codice, precisando che i singoli indici di costo delle lavorazioni per la determinazione degli indici sintetici dovranno essere individuati con provvedimento adottato dal Ministero dell’infrastrutture e dei trasporti, sentito l’ISTAT, sulla base delle tipologie omogenee di lavorazioni (cc.dd. TOL) contenute nell’Allegato II.2-bis;
  2. introduce il comma 4-bis, con cui è stato chiarito che gli indici di prezzo relativi ai contratti di servizi e forniture sono pubblicati, unitamente alla relativa metodologia di calcolo, sul portale istituzionale dell’ISTAT in conformità alle disposizioni europee e nazionali in materia di comunicazione e diffusione dell’informazione statistica ufficiale;
  • introduce il nuovo comma 4-ter, il quale specifica, sempre con riferimento agli appalti di servizi e forniture che, in ragione dei settori di riferimento, dispongono di specifici indici di determinazione della variazione del prezzo, che resta ferma la possibilità di utilizzare gli indici settoriali in sostituzione di quelli previsti dall’art. 60, comma 3, lett. b) (e. prezzi al consumo, prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi, indici delle retribuzioni contrattuali orarie). Tale facoltà, come emerge dalla Relazione illustrativa, è stata prevista per le ipotesi in cui “sussistano in taluni settori specifici, indici maggiormente aderenti e corrispondenti alla realtà economica del comparto volta per volta rilevante” (cfr. p. 33). Infine, la norma si preoccupa di chiarire, rispetto agli appalti di servizi e forniture il cui prezzo sia stato determinato sulla base di un’indicizzazione operante settorialmente, l’esclusione dell’obbligo di inserimento nei documenti di gara delle clausole di revisione prezzi, previsto dall’art. 60, comma 1;
  1. inserisce il nuovo comma 4-quater, che rimanda al nuovo Allegato 2-bis per la disciplina delle modalità di applicazione delle clausole di revisione dei prezzi, tenuto conto della natura e del settore merceologico dell’appalto e degli indici disponibili, e ne specifica le modalità di corresponsione, anche in considerazione dell’eventuale ricorso al subappalto.

*

Come anticipato, il Correttivo ha introdotto anche il nuovo Allegato II.2-bis, rubricato “Modalità di applicazione delle clausole di revisione dei prezzi”, con l’obiettivo di fornire linee operative alle stazioni appaltanti e agli operatori economici nell’attuazione delle clausole revisionali di cui all’art. 60 del Codice (cfr. Relazione illustrativa, p. 97).

L’Allegato si articola in quattro sezioni e, segnatamente:

  1. Sezione I “Disposizioni generali”: artt. da 1 a 3;
  2. Sezione II “Revisione prezzi per i contratti di lavori”: artt. da 4 a 9;
  • Sezione III “Revisione prezzi per i contratti di servizi e forniture”: artt. da 10 a 14;
  1. Sezione IV “Disposizioni economico-finanziarie e finali”: artt. 15 e 16.

L’Allegato chiarisce alcuni aspetti della disciplina. In particolare:

  1. l’art. 1 definisce l’ambito di applicazione, precisando – al comma 2 – che, nel caso di appalti di lavori, la revisione dei prezzi si applica ai lavori di nuova costruzione nonché a quelli di manutenzione straordinaria e ordinaria e – al comma 3 – che, in relazione agli appalti di servizi e forniture, la revisione prezzi si applica ai contratti di durata, il cui oggetto non consiste in una prestazione ad esecuzione istantanea;
  2. l’art. 2, al comma 1, chiarisce che le clausole di revisione dei prezzi da inserire obbligatoriamente nei documenti di gara iniziali sono redatte “conformemente ai requisiti del presente Allegato, al fine di fornire meccanismi automatici di riequilibrio contrattuale al verificarsi delle particolari condizioni di cui all’articolo 60, comma 2, del codice”;
  • l’art. 3, comma 2, precisa che le clausole di revisione dei prezzi sono attivate automaticamente dalla stazione appaltante, anche in assenza di istanza di parte, quando la variazione dell’indice supera, in aumento o in diminuzione, rispettivamente, la soglia del 3% (per gli appalti di lavori) e del 5% (per gli appalti di servizi e forniture) dell’importo del contratto quale risultante dal provvedimento di aggiudicazione;
  1. l’art. 4, comma 2 e l’art. 12, comma 1 chiariscono che il riferimento temporale, ai fini della determinazione della variazione del prezzo, va individuato nel “mese del provvedimento di aggiudicazione”, con l’ulteriore precisazione per cui, “in caso di sospensione o proroga dei termini di aggiudicazione nelle ipotesi di cui all’articolo 1, commi 3, 4 e 5 dell’Allegato I.3.”, il valore di riferimento per il calcolo della variazione è quello relativo al “mese di scadenza del termine massimo per l’aggiudicazione, come individuato dall’articolo 1, commi 1 e 2 del predetto Allegato”;
  2. l’art. 6 disciplina le ipotesi di ricorso a un accordo quadro, stabilendo che, in tali casi, i documenti inziali della procedura di affidamento prevedono che l’indice sintetico venga individuato al momento della stipula di ciascun contratto di lavori attuativo dell’accordo medesimo, in funzione delle lavorazioni dal medesimo previste, dei relativi importi e degli indici TOL associati;
  3. l’art. 8 precisa che i contratti di sub-appalto o i sub-contratti devono disciplinare le clausole di revisione prezzi riferite alle prestazioni o lavorazioni oggetto del subappalto o del sub-contratto e chiarisce che queste sono definite dalle parti “tenuto conto dei meccanismi revisionali e dei limiti di spesa di cui all’articolo 60 del codice, delle specifiche prestazioni oggetto del contratto di subappalto o del sub-contratto e delle modalità di determinazione degli indici sintetici disciplinate dal presente Allegato”;
  • le disposizioni transitorie e finali contenute nell’art. 16 delimitano l’ambito di applicazione temporale delle disposizioni contenute nell’Allegato, stabilendo che queste si applicano:
  • alle procedure di affidamento di contratti di lavori avviate a decorrere dalla data di pubblicazione del provvedimento con cui il Ministero dell’infrastrutture e dei trasporti individuerà i singoli indici di costo delle lavorazioni. Fino a tale data continueranno ad applicarsi, in via transitoria, “le disposizioni di cui all’art. 60, comma 3, lettera a) e comma 4 del Codice, nel testo vigente alla data del 1° luglio 2023” (cfr. art. 16, comma 2). Il comma 3 chiarisce, infine, che, a decorrere dalla data di pubblicazione dell’emanando provvedimento ministeriale, gli indici di costo pubblicati sul portale istituzionale dell’ISTAT “ai sensi dell’articolo 60, comma 3, lettera a) e comma 4, del Codice, nel testo vigente alla data del 1° luglio 2023” possono essere utilizzati solo a fini statistici[10];
  • alle procedure di affidamento di contratti di servizi e forniture avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente Allegato.

*

Le novità introdotte dal Correttivo con riferimento alla tematica della revisione prezzi sono numerose e significative. Per “misurare” la reale efficacia delle stesse occorrerà attendere i primi risultati della prassi applicativa e, per i contratti di lavori, l’adozione dell’emanando regolamento ministeriale, che si auspica intervenga in tempi celeri.

[1] S. Spuntarelli, Art. 60, in R. Villata, M. Ramajoli (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti pubblici,  Pisa, 2024, pp. 305 ss.. Per ulteriori approfondimenti si vedano: M. Di Giandomenico, Art. 60, in A. Botto, S. Castrovinci Zenna (a cura di), Commentario alla normativa sui contratti pubblici, Torino, 2024, pp. 621; F. Caringella, Art. 60, in Nuovo Codice dei contratti pubblici, Milano, 2023, pp. 392 ss.; A. Serafini, Art. 60, in L.R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, 2023, pp. 386 ss..

[2] È bene precisare che “non è suscettibile di astratta rilevanza ogni squilibrio in termini di costi rispetto al prezzo offerto in gara, ma è necessario che sussista in concreto un nesso tra l’aumento o la diminuzione dei costi e le circostanze imprevedibili o comunque fuori dalla sfera di controllo dell’operatore economico, dovendosi altrimenti ritenere che la revisione prezzi possa inopinatamente diventare uno strumento per sanare le eventuali inefficienze della funzione produttiva del singolo contraente, a tutto danno delle finanze pubbliche”. Così, R. Steffenoni, La revisione prezzi della componente energia nei contratti di rendimento energetico (EPC), in Rivista di diritto ed economia dei comuni, 2024, 2, pp. 89 e 90.

[3] La giurisprudenza ha interpretato il riferimento alla natura generale del contratto con riferimento all’entità economica e all’oggetto del contratto. Secondo Cons. Stato, Sez. V, 13 febbraio 2023, n. 1522, in particolare, “si ha un’alterazione della natura generale del contratto quando, ad esempio, i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto sono sostituiti con qualcosa di diverso, oppure si produca un cambiamento sostanziale del tipo di appalto”.

[4] Si ricorda, al riguardo, che tra i possibili meccanismi di funzionamento della revisione (sostanzialmente riassumibili sotto le due categorie dei sistemi di compensazione e di indicizzazione), il legislatore ha optato – ispirandosi al modello francese – per il meccanismo dell’indicizzazione, allo scopo di facilitare e di rendere più rapida l’applicazione della revisione.

[5] Sulle differenze tra compensazione e revisione si veda, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 30 dicembre 2024, n. 10448, secondo cui “La compensazione ha luogo (…) a prescindere dalla circostanza che l’aumento superiore al 10 per cento del singolo materiale si rifletta nella stessa percentuale sul prezzo totale dell’appalto, rendendo in tal modo il meccanismo più conveniente per l’appaltatore rispetto a quello disciplinato dall’art. 1664, comma 1, c.c. La ratio dell’istituto, semplicemente, è quella di compensare l’appaltatore in caso di aumento dei prezzi dei materiali per cause imprevedibili ed eccezionali al fine di mitigare gli effetti pregiudizievoli patiti dall’appaltatore che superano l’alea ritenuta tollerabile. L’istituto della compensazione non può quindi compendiarsi unicamente nell’esigenza di tutelare l’amministrazione contro il rischio di scompensi nella erogazione della spesa. Esso partecipa, soprattutto, della finalità di attualizzare, nell’interesse dell’appaltatore, il prezzo dei materiali ove lo stesso superi, nel tempo necessario all’esecuzione del contratto, un certo limite di tollerabilità. Non si può verificare alcuna «surrettizia» introduzione di un meccanismo revisionale attesa la differente natura dei due istituti. Con la compensazione si integra l’importo contrattuale sui prezzi delle prestazioni già effettuate, mentre con la revisione l’integrazione è riconosciuta sui prezzi delle lavorazioni da effettuare. La revisione è un sistema che permette di aggiornare il prezzo complessivo di un contratto pubblico durante la sua esecuzione”.

[6] Per approfondimenti si vedano, senza pretese di esaustività: S. Vinti, Art. 9, in A. Botto, S. Castrovinci Zenna (a cura di), Commentario alla normativa sui contratti pubblici, Torino, 2024, pp. 97 ss.; D. Di Matteo, M. Protto, Art. 9, in Nuovo Codice dei contratti pubblici, Milano, 2023, pp. 51 ss.; B. Giliberti, Art. 9, in L.R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, 2023, pp. 69 ss..

[7] Cfr. Cons. Stato, Commissione Speciale, 2 dicembre 2024, parere n. 1463, in www.giustizia-amministrativa.it, sub punto 16.1.

[8] Come si ricorderà, la formulazione originaria dell’art. 60, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 subordinava l’attivazione delle clausole di revisione prezzi “al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo” e stabiliva l’operatività delle medesime “nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire”.

[9] Cfr. Parere del Senato sullo Schema di decreto correttivo recante disposizioni integrative e correttive al Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, lett. b – 8ª Commissione Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica, “condizioni”, lett. b): “con riferimento all’articolo 16 dello schema in esame, che interviene sull’articolo 60 del Codice, modificare il comma 1, lettera b), chiarendo che la revisione dei prezzi opera nella misura dell’80 per cento dell’intera variazione, con l’effetto di lasciare il valore del 5 per cento unicamente come soglia oltre la quale scatta il meccanismo revisionale; in alternativa, modificare le percentuali in 2 per cento dell’importo complessivo del contratto, come soglia oltre la quale scatta la revisione dei prezzi, e 90 per cento, come misura della variazione dei prezzi che viene riconosciuta”.

[10] Alla data di pubblicazione del Correttivo, sono stati pubblicati tre indici per le seguenti categorie di opere: fabbricato residenziale, capannone industriale, tronco stradale con tratto in galleria.

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L’ACCORDO DI COLLABORAZIONE

In data 31 dicembre 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale n. 305, Suppl. Ord. n. 45/L, il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209, recante “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (c.d. “Correttivo”).

Il Correttivo è entrato in vigore in pari data in virtù della disposizione contenuta nell’art. 97.

L’art. 29 inserisce nel testo del d.lgs. n. 36/2023, dopo l’art. 82, il nuovo art. 82-bis, rubricato “Accordo di collaborazione”.

La disposizione – collocata nel Libro II (“Dell’appalto”), Parte V (“Delle procedure”), Titolo I (“Gli atti preparatori”) – dà copertura normativa a uno strumento innovativo, il cui impiego rappresenta già una best practice in diversi Paesi, ivi inclusa l’Italia, tant’è che, come precisato nella Relazione illustrativa di accompagnamento allo schema di decreto legislativo sottoposto all’esame parlamentare, “nella prassi molte stazioni appaltanti [vi] hanno già fatto ricorso in via negoziale ai fini dell’esecuzione di opere complesse, con esiti positivi in termini di prevenzione dei rischi e risoluzione dei conflitti.” (p. 12, sub § 3.8 “Fase esecutiva del contratto di appalto”).

*

L’art. 82-bis stabilisce, al comma 1, che le stazioni appaltanti possono inserire nei documenti di gara lo schema di un accordo di collaborazione plurilaterale con il quale le parti coinvolte in misura significativa nella fase di esecuzione di un contratto di lavori, servizi o forniture disciplinano le forme, le modalità e gli obiettivi della reciproca collaborazione, al fine di perseguire il principio del risultato di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, ossia – ai fini che qui rilevano – l’esecuzione del contratto con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Si tratta, dunque, di uno strumento facoltativo, il cui utilizzo è rimesso all’iniziativa e all’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, che – come chiarito al citato comma 1, ultimo periodo – non sostituisce né il contratto d’appalto, né gli altri contratti al medesimo collegati e non ne integra i contenuti.

Ciò significa, all’atto pratico, che:

  1. l’accordo di collaborazione non deroga, in alcun modo, alle disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici, che, al contrario, si intendono integralmente richiamate;
  2. la partecipazione all’accordo di collaborazione da parte dei soggetti pubblici non limita in alcun modo l’esercizio dei poteri pubblicistici di cui questi sono titolari, né interviene sulle competenze ad essi attribuite per legge, né può incidere nel ridurre o modificare l’applicazione della normativa, nazionale e sovranazionale, a cui gli stessi sono assoggettati in ragione della loro qualifica;
  • in nessun caso, l’applicazione dell’accordo di collaborazione può portare all’adozione di atti, ad omissioni e/o all’assunzione di impegni contrari alle previsioni contenute nei documenti di gara di cui all’art. 82 del d.lgs. n. 36/2023.

*

Lo schema di accordo di collaborazione è redatto coerentemente con quanto indicato nell’All. II-6.bis (introdotto dall’art. 89) e definisce, in considerazione dell’oggetto del contratto, gli obiettivi principali e collaterali della collaborazione, indicando altresì le eventuali premialità previste per la realizzazione dei medesimi.

*

A livello definitorio, gli accordi di collaborazione si sostanziano in:

  1. accordi volti a “disciplinare le relazioni di rete, ossia quelle interazioni che, per la presenza di elementi giuridici o di fatto, si creano tra diversi rapporti giuridici, regolati da fonti autonome, ma reciprocamente interferenti”[1];
  2. “accordi con pluralità di parti volti a introdurre regole per migliorare l’interazione tra uno o più committenti e l’intera filiera dei soggetti coinvolti, a vario titolo e con diverse competenze, nel raggiungimento di un certo risultato o nel successo o meno di una iniziativa complessa”. Essi “non si sostituiscono agli archetipi contrattuali (tipici o atipici) che legano gli operatori economici alle committenze, disciplinando le prestazioni principali affidate alle imprese (…), ma li completano occupandosi di regolamentare, in maniera proficua per tutti i componenti dell’alleanza, le loro reciproche interazioni”[2];
  • accordi di secondo livello, che si prendono in carico “di ordinare gli ambiti di sovrapposizione tra rapporti oggetto di diversi contratti, fortemente condizionati gli uni dagli altri, costituendo una alleanza che consenta di affrontare imprevisti in maniera razionale, di ridurre eventuali maggiori costi che si vadano prefigurando e di accrescere la capacità del gruppo di rispondere al meglio alle esigenze del committente, portando valore pubblico aggiunto, in termini non solo economici o di risparmio della spesa pubblica, ma anche sociali, a beneficio della comunità”[3].

In pratica, gli accordi collaborativi funzionano come contratti “ad ombrello”, ossia uniscono sotto un’unica disciplina di rete tutti o alcuni dei contraenti coinvolti nell’esecuzione della medesima commessa, superando la logica one to one che caratterizza l’impostazione contrattuale tradizionale ed estendendo la sinergia, attraverso la creazione di economie di scala nell’interazione allargata, così da: i) cogliere le opportunità, individuando degli obiettivi comuni a tutti gli operatori coinvolti, premiando le condotte virtuose e penalizzando quelle antagoniste; ii) eliminare (o, quanto meno, ridurre) gli antagonismi e le conflittualità grazie alla creazione di organismi di rete che funzionano da camera di compensazione dei conflitti e delle crisi di progetto.

Come è stato osservato, “il pregio di questi strumenti è di tradurre in forme giuridicamente vincolanti l’intenzione delle parti di collaborare, oltre la mera dichiarazione di intenti, a favore di obiettivi condivisi”[4].

*

L’art. 2, comma 2, dell’All. II.6-bis chiarisce che sono parti dell’accordo:

  1. la stazione appaltante, il responsabile unico del progetto (RUP) e, ove previsto in relazione all’oggetto del contratto:

a1) il direttore dei lavori (DL) o il direttore dell’esecuzione del contratto (DEC);

a2) il coordinatore per la sicurezza ex d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i.;

a3) il progettista per le opere realizzate con l’impiego dei metodi e degli strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni di cui all’art. 43 del d.lgs. n. 36/2023;

  1. l’appaltatore;
  2. i subappaltatori, i subcontraenti e i fornitori che, su accordo della stazione appaltante e dell’appaltatore, risultano coinvolti in misura significativa nella fase di esecuzione, tenuto conto dell’oggetto e del valore del subappalto, del subcontratto o della fornitura e della rilevanza delle prestazioni per il raggiungimento del risultato perseguito con il contratto d’appalto.

Il comma 3 prevede, poi, che la stazione appaltante, anche su istanza motivata dell’appaltatore, possa invitare ad aderire all’accordo di collaborazione ulteriori soggetti pubblici e privati, inclusi:

  1. gli investitori istituzionali;
  2. le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi semplificata ex art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023, convocata per l’approvazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica (PFTE), nonché ai fini della localizzazione dell’opera;
  • le amministrazioni e gli enti titolari di autorizzazioni e pareri;
  1. gli enti gestori di interferenze.

Poiché il comma 3 del menzionato art. 2 richiede, ai fini dell’individuazione degli ulteriori soggetti pubblici e privati, il loro coinvolgimento “a vario titolo nelle attività e funzioni strumentali al raggiungimento del risultato dell’esecuzione”, non è da escludere che tra le parti dell’accordo di collaborazione possano essere annoverati anche:

  1. l’organo di collaudo;
  2. il collegio consultivo tecnico.

Non è parimenti da escludere – in considerazione della definizione di uno o più obiettivi collaterali – il possibile coinvolgimento della comunità locale, anche come social witnesses secondo le best practices dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Nel caso di coinvolgimento di ulteriori soggetti, pubblici o privati che siano, l’accordo di collaborazione definirà le funzioni e le attività svolte dai predetti soggetti coerentemente con i compiti ad essi attribuiti dalla legge.

Le parti dell’accordo di collaborazione sono chiamate a collaborare secondo correttezza e buona fede, individuando misure volte a: (i) prevenire e individuare tempestivamente le eventuali criticità proprie della fase esecutiva; (ii) favorire il confronto sulle possibili soluzioni.

Il successivo comma 5 stabilisce, infine, “Fatta salva l’autonomia delle parti in ragione degli obiettivi e degli impegni della collaborazione” sono soggetti dell’esecuzione dell’accordo:

  1. il direttore strategico, “che è un soggetto imparziale, munito delle necessarie competenze e capacità organizzative, il quale coordina le parti al fine di migliorarne la cooperazione”;
  2. eventuali consulenti delle parti dell’accordo, “che monitorano l’andamento della collaborazione e supportano le parti nel raggiungimento degli obiettivi dell’accordo”.

*

La struttura e i contenuti dell’accordo di collaborazione sono definiti dall’art. 3 dell’All. II.6-bis.

L’accordo di collaborazione è preceduto dalle premesse generali.

Le premesse generali, come chiarito dal comma 2, costituiscono parte integrante e sostanziale dell’accordo e illustrano:

  1. il contesto di riferimento;
  2. le caratteristiche dell’appalto a cui si riferisce l’accordo di collaborazione;
  • le ragioni poste alla base della stipula dell’accordo di collaborazione;
  1. i principi e gli obiettivi (principali e collaterali) della collaborazione.

Gli obiettivi principali (cfr. art. 3, comma 3) sono individuati in coerenza con l’oggetto e con le caratteristiche specifiche dell’appalto e riguardano, in particolare:

  1. le attività, i compiti e lo scambio di informazioni necessarie al fine di garantire il rispetto dei tempi di esecuzione;
  2. le modalità di verifica delle prestazioni eseguite;
  • il contenimento del costo o del prezzo del contratto entro i limiti di spesa fissati;
  1. ogni ulteriore aspetto funzionale al raggiungimento del risultato.

Gli obiettivi collaterali (v. art. 3, comma 4), viceversa, individuano le attività e gli impegni a carico delle parti finalizzati al conseguimento di ulteriori benefici di comune interesse, tenuto conto anche degli aspetti sociali, culturali e ambientali connessi all’appalto.

Rientrano così tra gli obiettivi collaterali, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, “la promozione della partecipazione ai subappalti o sub-contratti delle piccole e medie imprese con sede operativa nell’ambito territoriale di riferimento per le prestazioni di cui all’articolo 108, comma 7, terzo periodo”.

Altri esempi di obiettivi collaterali possono essere mutuati dalla prassi applicativa e possono consistere:

  1. nella riduzione del consumo delle risorse naturali e delle emissioni inquinanti nell’esecuzione dei lavori, ad esempio mediante la valorizzazione dei meccanismi di circular economy (riduzione della produzione dei rifiuti, utilizzo di materiali, strutture e attrezzature a bassa o a ridotta impronta ecologica, riduzione della produzione di rifiuti non pericolosi e riutilizzo dei materiali scavati) e la minimizzazione dei disagi e degli impatti ambientali sull’ecosistema urbano e sulla comunità che popola l’ambiente circostante al cantiere;
  2. creazione di un contesto lavorativo inclusivo e favorevole alla parità intergenerazionale, di genere ed etnica, operando in maniera equa e rispettosa dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

L’accordo di collaborazione individua:

  1. l’oggetto, le attività finalizzate al raggiungimento degli obiettivi (principali e collaterali) e i corrispondenti impegni delle parti;
  2. le modalità di verifica degli obiettivi della collaborazione, mediante la definizione di indicatori di prestazione o di risultato e l’individuazione delle scadenze temporali del monitoraggio e di raggiungimento degli obiettivi ai quali sono connesse le eventuali premialità (cfr. art. 3, comma 1, lett. b) e comma 5);
  3. i meccanismi di prevenzione e riduzione dei rischi e di risoluzione delle possibili controversie relative all’esecuzione dell’accordo e il sistema di allerta, finalizzato a prevenire eventuali criticità che potrebbero comprometterne la corretta esecuzione e a fornire rimedi tempestivi in coerenza con il principio del risultato (v. art. 3, comma 1, lett. c) e comma 6);
  4. le responsabilità per l’esecuzione dell’accordo, determinate in ragione delle attività e dei compiti conferiti a ciascuna parte (cfr. art. 3, comma 1, lett. d);
  5. le eventuali premialità relative al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo e i relativi meccanismi di operatività (v. art. 3, comma 1, lett. e) e commi 7 e 8);
  6. le funzioni e le attività delle parti e dei soggetti della collaborazione (cfr. art. 3, comma 1, lett. f);
  7. le ipotesi, le modalità e il procedimento di scioglimento dell’accordo per cause attinenti al raggiungimento dello scopo e alla scadenza degli adempimenti previsti o per cause imputabili a una grave e non giustificata violazione degli impegni concordati ad opera delle parti (v. art. 3, comma 1, lett. g) e comma 9).

Per quel che concerne, nello specifico, le premialità, l’art. 3, al comma 7, stabilisce che “L’accordo di collaborazione può prevedere meccanismi di premialità, connessi al raggiungimento degli obiettivi principali e collaterali dell’accordo di collaborazione se previsti nello schema di accordo inserito nei documenti iniziali di gara”.

È, poi, il comma 8 a specificare che le premialità possono consistere:

  1. nell’inserimento degli operatori economici aderenti all’accordo di collaborazione negli elenchi e negli albi per l’affidamento di contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, fermo restando il rispetto delle procedure di affidamento previste dal Codice dei contratti pubblici;
  2. nella previsione di opzioni, sempre nel rispetto delle previsioni contenute nel d.lgs. n. 36/2023;
  3. in premi economici connessi al raggiungimento degli obiettivi della collaborazione, determinati dalla stazione appaltante nello schema di accordo in coerenza con quanto previsto dall’art. 126 del d.lgs. n. 36/2023, tenuto conto della rilevanza dell’obiettivo raggiunto e, comunque, nei limiti delle risorse disponibili nell’ambito del quadro economico dell’intervento;
  4. in premi reputazionali, consistenti nell’attribuzione di criteri premiali da “spendere” nelle successive procedure di affidamento, secondo quanto previsto dall’art. 108 del menzionato d.lgs. n. 36/2023.

*

Da ultimo, l’art. 4, comma 1, dell’All. II.6-bis precisa che l’accordo di collaborazione impegna le parti a risolvere in buona fede, “con gli strumenti collaborativi previsti dall’accordo medesimo”, eventuali controversie sorte in sede di esecuzione dell’accordo e specifica che, se non è possibile risolvere in forma collaborativa la controversia, l’accordo di collaborazione individua, in coerenza con il contratto d’appalto e con i contratti al medesimo collegati, il ricorso preferenziale agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie di cui al Titolo II della Parte I del Libro V del Codice dei contratti pubblici.

Il comma 2 dell’articolo appena menzionato chiarisce, parimenti, che in caso di costituzione del collegio consultivo tecnico (CCT), le parti dell’accordo di collaborazione sono tenute a osservare i pareri e le determinazioni del collegio, laddove incidenti su aspetti regolati dall’accordo di collaborazione stesso.

 

 

 

 

 

[1]   D. Mosey, Dialogo sugli appalti collaborativi, a cura di E. Parisi, N. Posteraro, Napoli, 2019, p. 45. Secondo Mosey, in particolare, “l’accordo collaborativo, identificando la rete, crea una alleanza nella quale gli operatori economici e il committente si riconoscono, accettando di unirsi per perseguire un obiettivo comune e convogliando le energie di tutti per cogliere le opportunità che emergono nella fase di esecuzione dei rispettivi rapporti contrattuali”.

[2] Così S. Valaguzza, Governare per contratto. Come creare valore attraverso i contratti pubblici, Napoli, 2018, p. 196 ss.

[3] Così S. Valaguzza, Collaborare nell’interesse pubblico. Perché passare dai modelli antagonisti agli accordi collaborativi, Napoli, 2019, p. 36.

[4] Così A. Giusti, Al centro del risultato: l’affidamento dei servizi globali nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2024, 2, p. 585. Questo perché – spiega D. Mosey, op. cit., p. 31 ss. – “le dichiarazioni di principio, anche quando riguardano l’intenzione delle parti di collaborare, possono sì creare valori condivisi tra i membri del team, ma non portano molto lontane se non vengono tradotte poi in specifici impegni, in attività (nella forma degli obblighi contrattuali) della collaborazione. Occorre poi ricordare, come insegna il caso pratico, che le dichiarazioni di intenti non hanno la forza di aiutare il team a gestire i rischi e le sfide in una maniera innovativa e che il fallimento nell’onorare un generico impegno a collaborare non fa che alimentare lo scontro tra le parti. Insomma, bisogna far capire alle imprese che la collaborazione, quando assume le vesti di una generica dichiarazione di intenti, diventa un mero insieme di compromessi reciproci, e non riesce a generare un sincero interesse a lavorare insieme e a condividere informazioni; in tal caso è difficile porre le basi per costruire un impegno condiviso che consenta al team di creare valore aggiunto e residua solo un senso di insoddisfazione e sospetto”.

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Gestione dei rifiuti e metodo MTR-2: il TAR Brescia chiarisce che l’eterointegrazione non può essere indiscriminata.

Negli ultimi anni, il settore della gestione dei rifiuti urbani ha subito profondi cambiamenti che ne hanno modificato significativamente l’assetto. A partire dal 2018, la regolamentazione di questo settore è stata affidata, con legge n. 205/2017, ad ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) che ha avviato un articolato percorso regolatorio volto ad uniformare la disciplina del settore sull’intero territorio nazionale, a partire dal tema della remunerazione del servizio, sia esso gestito da operatori economici selezionati con gara o affidato direttamente a società in house o miste.

Dopo il primo periodo regolatorio, avviato con la delibera n. 443/2019, la regolamentazione in materia di determinazione dei costi del servizio di gestione rifiuti si è ulteriormente evoluta con l’approvazione della delibera n. 363/2021 e dell’allegato MTR-2, contenente il c.d. “Metodo Tariffario Rifiuti” per il secondo periodo regolatorio 2022-2025.

Tale metodo prevede l’aggiornamento delle entrate tariffarie di riferimento (i.e. TARI) sulla base del criterio di riconoscimento dei c.d. costi efficienti, ossia quei costi di esercizio ed investimento del servizio integrato dei rifiuti che trovano giustificazione nella migliore tecnica imprenditoriale di gestione in condizioni di efficienza ed economicità che i Comuni (e gli altri concedenti), pertanto, sono tenuti a riconoscere al concessionario (Cons. Stato, sez. II, 24 luglio 2023, n. 7196).

In questo contesto, gli Enti concedenti (per il tramite degli Enti d’Ambito – EGATO e, in Lombardia, stante l’assenza di tali Enti sovracomunali, direttamente i singoli Comuni) si sono trovati a valutare il rapporto (e gli effetti) delle nuove prescrizioni regolatorie rispetto alle specifiche gestioni del servizio in essere.

Il caso problematico concerne, quindi, i contratti di appalto del servizio di gestione dei rifiuti affidati all’esito di una procedura a evidenza pubblica antecedente all’entrata in vigore del nuovo metodo regolatorio e, dunque, strutturati sulla base di una offerta tecnica ed economica alla quale il concorrente si è vincolato in quanto ritenuta congrua e conveniente. Il Comune è tenuto ad applicare le previsioni del contratto (che spesso prevedono un corrispettivo ribassato rispetto alla base di gara) o ad esse prevalgono le regole del MTR-2 e, dunque, i costi del servizio saranno determinati sulla base della regolazione ARERA indipendentemente dal contratto stipulato con il gestore?

Sul punto, i TAR (TAR Toscana, sez. II, 8 gennaio 2024, n. 26; TAR Puglia, sede di Lecce, sez. II, 8 aprile 2024, n. 484; TAR Lombardia, sede di Milano, sez. I, 30 giugno 2024, n. 1249; TAR Lombardia, sede di Milano, sez. I, 17 agosto 2024, n. 1938) hanno rimarcato l’efficacia eterointegrativa della regolazione ARERA, che trova fondamento, anzitutto, nell’art. 2, comma 12, lett. h) e comma 37, della legge n. 481/1995 istitutiva di ARERA e ulteriore conferma sia con riferimento alla metodologia tariffaria MTR (cfr. art. 23 del Documento per la Consultazione 713/2018/R/RIF) sia allo schema di contratto tipo (cfr. Deliberazione 643/2022/R/rif del 29 novembre 2022). L’eterointegrazione, basata sul riconoscimento della prevalenza dell’esercizio del potere di regolazione dell’Autorità sulle pattuizioni contrattuali, comporta l’automatica sostituzione delle clausole contrattuali, in forza degli artt. 1419, co. 2 e 1339 del Codice civile.

A fronte della regola della c.d. eterointegrazione, resta critico il nodo del rapporto tra le modifiche regolatorie e i principi guida dell’evidenza pubblica.

In particolare, una applicazione “indiscriminata” dell’eterointegrazione potrebbe costituire il presupposto per richieste di riconoscimento e rimborso di costi che, al momento dell’aggiudicazione, non erano stati pattuiti e potrebbe finire per rendere irrilevante l’offerta dell’aggiudicatario nonché, dunque, gli impegni assunti nei confronti dell’amministrazione per ottenere l’affidamento e superare i concorrenti.

A chiarimento, è di recente intervenuto il TAR Brescia con la sentenza sez. I, 19 settembre 2024, n. 747 che, richiamando il proprio precedente di cui alla sentenza del 28 giugno 2024, n. 580, ha prospettato una interpretazione che contempera l’eterointegrazione con i principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica.

 La pronuncia, in estrema sintesi, ritiene che il sistema di eterointegrazione dei contratti debba applicarsi in automatico solo laddove comporti un favor per l’amministrazione concedente e non invece in caso contrario, impendendo così che il meccanismo in parola possa falsare l’esito di una precedente gara pubblica o provocare squilibri insostenibili nei rapporti contrattuali tra enti pubblici e concessionari.

Nello specifico, la pronuncia afferma che “un’eterointegrazione che operasse in aumento rispetto ai prezzi pattuiti tra gli enti territorialmente competenti e i gestori, sarebbe in contrasto con la finalità di assicurare «condizioni di efficienza ed economicità della gestione», alla quale, secondo l’espressa previsione dell’art. 1, co. 527, legge 205/2017, deve essere orientato il potere regolatorio di ARERA, e che quest’ultima nelle proprie delibere dichiara ripetutamente di voler perseguire. Infatti, in presenza di un prezzo più conveniente per l’ente pubblico, frutto dell’esperimento di una procedura di gara per l’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti, l’automatica elevazione di tale prezzo fino al prezzo massimo risultante dall’applicazione del metodo tariffario introdotto da ARERA, e delle sue successive modifiche che via via intervengano nel corso del tempo, determinerebbe una perdita di efficienza nella gestione del servizio, per il quale, a parità di qualità, dovrebbero essere impiegate maggiori risorse economiche da parte dell’ente pubblico, da recuperare presumibilmente con un incremento della TARI”.

Ed ancora, è stato significativamente rilevato che “un’eterointegrazione che operasse anche in aumento rispetto ai prezzi pattuiti, inoltre, non si concilierebbe con la disciplina di derivazione europea delle gare per l’affidamento del servizio, che con quell’eterointegrazione in aumento potrebbe essere facilmente elusa, qualora un concorrente si aggiudicasse la gara con un’offerta economica bassa ma poi, in corso di esecuzione del contratto, proponesse un p.e.f. con costi maggiorati, che fosse approvato dal Comune: in questo modo l’offerta economica bassa, che aveva consentito all’operatore di aggiudicarsi la gara, verrebbe sostanzialmente superata e sostituita con un prezzo maggiore a carico del Comune”.

In altri termini, secondo il TAR Brescia, l’eterointegrazione si blocca laddove vi siano delle previsioni di gara o di contratto che, se stravolte, potrebbero, di fatto, annullare le risultanze del confronto competitivo.

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L’accesso Delle Pmi Alle Procedure Di Evidenza Pubblica: Le Principali Novità Emergenti Dall’analisi Comparatistica
  1. Quadro normativo italiano ed europeo. Criticità

Il tessuto produttivo italiano, com’è noto, è composto in larghissima parte[1] da micro, piccole e medie imprese.[2]Tuttavia, il loro accesso al mercato dei contratti pubblici resta caratterizzato da significative barriere all’ingresso. Un recente studio europeo[3] evidenzia che esse vincono mediamente una percentuale di gare assai inferiore a quella raccomandata dalla Commissione europea (45-60%) in molti Stati membri (tra cui Italia, Francia, Portogallo).[4]Questa circostanza ha indotto il legislatore comunitario a suggerire diverse misure di incentivazione per le MPMI, secondo un approccio soft, che contempera la necessità di sostenere le suddette imprese coi principi di libera concorrenza e non discriminazione.

Come già chiarito in un precedente approfondimento, rileva anzitutto il “Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici”, pubblicato nel giugno 2008 congiuntamente allo “Small Business Act” (“SBA”).[5] Entrambi i documenti, pur non vincolanti, costituiscono la base delle politiche europee in favore delle PMI. Il primo effettua raffronto delle politiche adottate dai vari Stati membri, individuando una serie di opzioni percorribili, tra cui la suddivisione dei contratti in lotti, lo sfruttamento del raggruppamento degli operatori economici, la pubblicizzazione del subappalto e l’incentivo all’utilizzo delle procedure di appalto telematiche (e– procurement). Il secondo enuclea dieci principi volti a sostenere le MPMI nel mercato unico, tra cui si annoverano quello di «pensare anzitutto in piccolo» e di «adeguare l’intervento politico pubblico alle esigenze delle PMI: facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le PMI».

La Direttiva UE n. 24/2014 ha risentito dell’influenza dei sopracitati documenti, richiedendo agli Stati membri di «incoraggiare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici» e di aumentare la percentuale di appalti aggiudicati alle PMI rispetto all’ammontare complessivo degli stessi.[6]

Quanto all’ordinamento italiano, il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) si pone nel solco della disciplina precedente, dettata dal d.lgs. 50/2016. In particolare, all’articolo 10, comma 3, si prevede una disposizione di favore nei confronti delle MPMI, la quale sancisce la necessità che gli eventuali requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, siano attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, così favorendo, purché ciò sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese. Tuttavia, occorre sin d’ora sottolineare che tale disposizione, alquanto generica, trova scarsa applicazione nella prassi.

       Ulteriori disposizioni incentivanti si rinvengono agli artt. 108 e 119 co. 11 lett. a) del codice, i quali sanciscono rispettivamente la possibilità di prevedere criteri premiali atti a favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese nella valutazione dell’offerta e la corresponsione diretta da parte della stazione appaltante dell’importo dovuto al subappaltatore o subcontraente che sia una mPMI.[7]

Ad ogni modo, cuore della strategia italiana per il sostegno alle mPMI resta la suddivisione in lotti, la cui portata generale è ribadita dall’art. 58 del d.lgs. 36/2023. In particolare, al comma 2 si prevede esplicitamente che «Nel caso di suddivisione in lotti, il relativo valore deve essere adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimprese, piccole e medie imprese». Tuttavia, è necessario evidenziare che la giurisprudenza amministrativa[8] interpreta tale disposizione come suscettibile di deroga mediante adeguata giustificazione, di fatto frustrando la sua funzione di sostegno alle piccole e medie imprese.[9]

Da tale quadro emerge dunque una disciplina non pienamente in grado di rimuovere le barriere di accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei contratti pubblici, come dimostra il fatto che, come si è già detto, l’Italia è posizionata al di sotto della media europea con riferimento alla quota di appalti pubblici aggiudicati alle mPMI.[10]Tale circostanza dovrebbe imporre delle riflessioni circa l’adeguatezza dell’attuale impianto normativo e sulla necessità di apportare ad esso delle modifiche. Da questo punto di vista le esperienze comparate possono costituire, in alcuni casi, modelli virtuosi da seguire.

  1. Uno sguardo alla normativa francese

Ad oggi, la Francia è sicuramente uno degli Stati più all’avanguardia nel sostenere le piccole e medie imprese. La regola generale, come nel caso italiano, è la suddivisione in lotti, prevista dall’ R.2113-1 del Code de la Commande Publique (“CCP”). Tuttavia, a quest’ultima si può derogare (ai sensi degli artt. R.2113-2 e 2113-3) previa adeguata motivazione. Molto rilevante è la disciplina di cui all’articolo R.2113-1, la quale obbliga – salvo eccezioni[11] – gli operatori economici che si aggiudicano “appalti globali”, ossia appalti pubblici che derogano alla regola della lottizzazione, ad affidare alle piccole e medie imprese o agli artigiani una quota minima di esecuzione del contratto.[12]

In aggiunta, il codice prevede che il tasso di subappalto garantito alle PMI costituisce un criterio di selezione per incoraggiare le imprese ad andare oltre la quota minima fissata dal legislatore. Nel merito si richiama l’articolo 2152-9 nella parte in cui sancisce che «il committente tiene conto, tra i criteri di aggiudicazione degli appalti globali di cui all’articolo L. 2171-1, della parte di esecuzione dell’appalto che l’offerente si impegna ad affidare alle piccole e medie imprese o agli artigiani».

  1. Brevi cenni al caso portoghese

Anche il Portogallo si annovera tra gli Stati membri che prevedono una serie di incentivi volti ad aumentare il tasso partecipazione delle mPMI al mercato dei contratti pubblici. In particolare, ferma restando la generale regola della suddivisione in lotti, nel 2021 è stato parzialmente modificato il Código Dos Contratos Públicos, prevedendo all’articolo 54A la possibilità di riservare gli appalti alle PMI negli appalti di lavori di valore inferiore a 500.000 euro e di forniture o servizi di valore inferiore alla soglia europea stabilita dalla direttiva n. 24/2014. A ben vedere si tratta di un modello differente da quello francese, nel quale l’obbligo è in capo agli operatori economici: nel caso portoghese, invece, la facoltà (e non l’obbligo) è riferibile alle amministrazioni aggiudicatrici.

  1. Uno sguardo alla normativa spagnola

Tra le diverse caratteristiche comuni a Italia e Spagna dal punto di vista del tessuto economico vi è l’altissimo tasso di mPMI da cui quest’ultimo è formato.[13] Il legislatore spagnolo, preso atto di ciò, ha approntato un sistema di incentivi non dissimile da quello italiano, caratterizzato prevalentemente dalla divisione in lotti e da disposizioni di favor alquanto generiche. In particolare, gli artt. 1 co. 3[14] e 28 co. 2[15] della Ley de Contratos del Sector Publico (LCSP) prevedono che uno degli obiettivi della contrattazione pubblica sia proprio facilitare l’accesso delle mPMI alla stessa.

A ciò si aggiunga la presenza di un’unica piattaforma nazionale (Plataforma de Contratos del Sector Publico) che facilita la ricerca di procedure di evidenza pubblica da parte le piccole e medie imprese, le cui esigenze sono inoltre recepite anche dagli artt. 108 e 198 LCSP, i quali prevedono rispettivamente la possibilità di assolvere alla prestazione della garanzia definitiva mediante ritenuta sul pagamento del prezzo operata dall’amministrazione fino a concorrenza dell’importo garantito (qualora ciò sia previsto nella documentazione di gara) e il pagamento anticipato del prezzo. Inoltre, ai sensi degli artt. 88 e 89 LCSP è previsto che le amministrazioni aggiudicatrici valorizzino aspetti differenti dal mero fatturato ai fini della comprova della capacità economica e finanziaria per appalti di lavori e di forniture[16] inferiori alla soglia di 500mila euro.[17]

Dunque, nel complesso la normativa spagnola è improntata ad un generale favor nei confronti delle mPMI, senza che tuttavia si prevedano riserve specifiche alle stesse come accade in Francia e in Portogallo: in ciò, si ribadisce, il caso spagnolo assomiglia a quello italiano.

È tuttavia interessante segnalare che sono state prese alcune iniziative lodevoli a livello locale, le quali hanno ricevuto il plauso delle istituzioni comunitarie.[18] Ad esempio, il municipio di Valladolid ha introdotto nella propria normativa appalti riservati specificamente alle mPMI innovative. Inoltre, si prevede una generale preferenza per le stesse nei contratti di importo minore assegnati tramite negoziazione senza previa pubblicazione del bando.

  1. Brevi cenni all’ordinamento tedesco

L’ordinamento tedesco non si contraddistingue per particolari iniziative a favore delle mPMI, salvo la presenza degli istituti che, come già si è evidenziato, sono comuni ai diversi Stati membri, vuoi per propria tradizione, vuoi per attuazione delle Direttive europee. La disciplina della contrattazione pubblica, materia condivisa tra governo federale e singoli Land (gli stati federati tedeschi), prevede, su entrambi i livelli, la regola generale della suddivisione in lotti, nonché la possibilità di partecipazione alle gare in forma aggregata (ad esempio mediante consorzi).

Come si diceva, al netto di ciò non si rinvengono altre peculiari misure, che potrebbero, se introdotte in futuro, trovare giustificazione nel generale obbligo di prendere «primariamente in considerazione» l’interesse delle PMI previsto dall’art. 97 dell’Antitrust act.

  1. Uno sguardo fuori dall’UE: il caso del Regno Unito

In generale, una delle caratteristiche che rende il Regno Unito un ordinamento d’avanguardia nel favorire la partecipazione delle PMI è la grande flessibilità della sua normativa, innovata di recente con l’imminente entrata in vigore del nuovo Procurement Act, che avverrà il prossimo 28 ottobre 2024, tra i cui principali obiettivi v’è proprio quello di facilitare l’accesso delle PMI (SME’s)[19] alle procedure ad evidenza pubblica, così come già indicato dal National Procurement Policy Statement.[20]

In particolare, tra le diverse misure previste (tra le quali vi è naturalmente la regola generale della suddivisione in lotti) si annovera anzitutto la creazione di una nuova piattaforma digitale centralizzata sulla quale saranno pubblicati tutti i dettagli sulle procedure ad evidenza pubblica, al fine di rendere più agevole l’individuazione delle stesse da parte delle SME’s. Inoltre, dovranno essere forniti feedback agli unsuccessful bidders. In secondo luogo, si segnala l’obbligo di introdurre requisiti di partecipazione e tempistiche proporzionati all’oggetto del contratto di modo da andare incontro alle esigenze delle PMI, la prestazione della garanzia solo in caso di aggiudicazione invece che durante la gara e la previsione del pagamento immediato (prompt payment provision) a 30 giorni, per evitare che le PMI soffrano economicamente. A ciò si aggiunge l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di considerare documenti diversi (purché affidabili) dal bilancio revisionato per le PMI che non hanno l’obbligo di averne uno al fine di individuare la capacità economica dell’impresa.

Al netto delle singole misure, come si diceva poc’anzi, è la generale flessibilità del sistema a costituire il fattore determinante nella strategia britannica di sostegno alle SME’s. Ciò è testimoniato dalla riduzione delle procedure di gara essenzialmente a due (la open procedure e la new competitive flexible procedure, che prevede un’unica fase, senza c.d. participation stage) e l’ampliamento del ricorso all’ early market engagement, interlocuzione preliminare tra amministrazione aggiudicatrice e potenziale appaltatore, cui può partecipare l’intera filiera di subappaltatori (composta anche e soprattutto da PMI), sin dalla fase di prima concettualizzazione della risposta al bisogno di interesse pubblico.

  1. Conclusioni e spunti di riforma

Dall’analisi effettuata emerge che delle diverse giurisdizioni analizzate, Francia e Portogallo sono le uniche in cui si prevede una quota di riserva a favore delle PMI, misura tra le più incisive di quelle presentate. Tuttavia, come si è accennato, i due Paesi operano secondo due modelli diversi tra di loro, ancorché non antitetici.

In Francia vige un sistema che impone all’appaltatore di subappaltare una quota minima (il 10% del valore totale) dell’appalto di grandi dimensioni (cioè non diviso in lotti) alle PMI. D’altra parte, la normativa portoghese prevede la possibilità di riserva, per i soli appalti sottosoglia, attribuendo la facoltà di scelta alla stazione appaltante.

È bene ribadire che i due modelli non sono incompatibili e che pertanto potrebbero coesistere in un’ipotetica scelta del legislatore nazionale che volesse rafforzare la reale ed effettiva promozione delle piccole e medie imprese.

Peraltro, prima che la Corte costituzionale ne dichiarasse l’incostituzionalità con sentenza n. 98/2020 a seguito di ricorso in via principale proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri[21], una disciplina simile a quella portoghese era stata introdotta dalla Regione Toscana. Tuttavia, non si ritiene che tale precedente debba portare ad escludere l’introduzione di una riserva per le PMI, in entrambe le modalità sopra citate. Infatti, le imprese favorite dal meccanismo previsto dalla Regione Toscana erano esclusivamente quelle regionali: in altre parole, è stato giudicato incostituzionale il favor nei confronti delle sole PMI regionali, e non invece quello verso le PMI in generale.

In secondo luogo, il Codice dei contratti già ammette delle “riserve” a favore di particolari tipologie di operatori economici: si tratta della possibilità, accordata dall’art. 129 d.lgs. 36/2023, di riservare le procedure di affidamento dei servizi sociali sanitari e culturali ad enti senza scopo di lucro[22], per le quali si prevedono, per compensare gli effetti limitativi della concorrenza, due meccanismi compensativi. In particolare, si prevede una durata massima del contratto di tre anni, nonché l’esclusione dalla “riserva” di enti che siano già stati aggiudicatari di un appalto o di una concessione per i medesimi servizi nei tre anni precedenti.

Alla luce di quanto esposto, sia il modello francese sia quello portoghese appaiono praticabili, pur con le doverose accortezze.

Tali conclusioni sono suffragate dal fatto che nel nostro ordinamento, a livello teorico, non è vietato operare una differenziazione di trattamento tra categorie differenti, purché sorretta da adeguata e ragionevole motivazione e purché tale distinzione si traduca in una normativa proporzionata che non sacrifichi eccessivamente gli altri principi in gioco (la libera concorrenza). In questo caso, la presenza di effettive barriere all’ingresso del mercato dei contratti pubblici da parte delle PMI, comprovata dai dati menzionati in apertura, potrebbe costituire, dal punto di vista fattuale, la giustificazione degli interventi normativi sopra descritti: non si tratta cioè di favorire irragionevolmente le PMI, bensì di rimuovere gli ostacoli che impediscono loro di partecipare pienamente al settore del public procurement. Neppure si ritiene che eventuali ulteriori misure di favor contrasterebbero con la normativa comunitaria, dal momento che, quantomeno in Francia, è prevista una riserva a favore delle PMI per appalti al di sopra delle soglie comunitarie senza che siano – per ora – emersi profili di tensione con le istituzioni comunitarie e la normativa da esse introdotta.

[1] In Italia il 99,8% delle imprese è una mPMI, come emerge dai dati Istat e dallo studio europeo The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile su https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.

[2] Ai sensi della Raccomandazione n. 2003/361/Ce, trasposta in Italia dal d.m. 18 aprile 2005, per micro impresa s’intende un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR; per piccola impresa s’intende un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR e per media impresa s’intende un’impresa che occupa meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.

[3] European Parliament: Directorate-General for Internal Policies of the Union, Caimi, V. and Sansonetti, S., The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023.

[4] Occorre tuttavia tenere in considerazione che i dati si riferiscono alle procedure al di sopra delle soglie europee, a cui spesso le PMI non partecipano.

[5] Cfr. Commissione delle Comunità europee, Una corsia preferenziale per la piccola impresa, 2008, disponibile su https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0394:FIN:IT:PDF.

[6] Pur non ritenendo appropriato imporre delle percentuali obbligatorie di coinvolgimento delle PMI. Cfr. Considerando 124 Direttiva n. 24/2014. Si ricorda tuttavia che i “considerando” non sono vincolanti.

[7] A ciò si aggiunga l’art 106, co.8, il quale prevede la riduzione del 50% della garanzia per la partecipazione alla procedura.

[8] Ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 15 dicembre 2020, n. 8440.

[9] G. Cocco, Partecipazione agli appalti da parte delle PMI. Ci sono spiragli per superare le perduranti resistenze? in Il diritto dell’economia, 2023, 3.

[10] Cfr. Sba Fact Sheet, 2019. V. anche The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile su https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.

[11] L’articolo R. 2171-23 CCP ha previsto un’eccezione alla sopracitata quota minima ove non ci siano PMI sufficientemente qualificate o disponibili per raggiungere la percentuale del 10%. In tale ipotesi occorre informare immediatamente il committente e giustificare l’impossibilità di assegnare almeno il 10% del contratto a PMI o artigiani. Il committente dovrà poi esaminare, subordinatamente al controllo del giudice, se il motivo appare giustificato e coerente.

[12] Un apposito regolamento l’ha fissata al 10% del valore stimato di un contratto pubblico. Cfr. Art. R. 2171-23 Decreto n. 2021 – 357 del 30 marzo 2021.

[13] Esattamente come in Italia, il 99,8% delle imprese è una mPMI. Cfr. The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile su https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.

[14] «En toda contratación pública se incorporarán de manera transversal y preceptiva criterios sociales y medioambientales siempre que guarde relación con el objeto del contrato, en la convicción de que su inclusión proporciona una mejor relación calidad-precio en la prestación contractual, así como una mayor y mejor eficiencia en la utilización de los fondos públicos. Igualmente se facilitará el acceso a la contratación pública de las pequeñas y medianas empresas, así como de las empresas de economía social».

[15] «Las entidades del sector público velarán por la eficiencia y el mantenimiento de los términos acordados en la ejecución de los procesos de contratación pública, favorecerán la agilización de trámites, valorarán la incorporación de consideraciones sociales, medioambientales y de innovación como aspectos positivos en los procedimientos de contratación pública y promoverán la participación de la pequeña y mediana empresa y el acceso sin coste a la información, en los términos previstos en la presente Ley».

[16] Oltre che per le imprese costituite da non più di cinque anni.

[17] Segnatamente:

  1. indicazione del personale tecnico o dell’organismo tecnico di cui l’operatore economico intenda avvalersi nell’esecuzione del contratto;
  2. titoli accademici e professionali dell’imprenditore, dei dirigenti dell’impresa e degli addetti ai lavori;
  3. indicazione delle misure di tutela ambientale che l’operatore economico intenda impiegare nella fase esecutiva del contratto;
  4. dichiarazione relativa all’organico medio annuo dell’impresa e relativa al numero dei dirigenti degli ultimi tre anni;
  5. dichiarazione relativa ai macchinari, ai materiali e all’equipe tecnica impiegati per l’esecuzione.

[18] José Manuel Martínez Fernández, El ejemplo del Ayuntamiento de Valladolid premiado por la Unión Europea, su Observatorio de Contratacion Publica, disponibile su https://www.obcp.es/opiniones/el-ejemplo-del-ayuntamiento-de-valladolid-premiado-por-la-union-europea.

[19] Per SME’s s’ intendono imprese che hanno (a) meno di 250 dipendenti e (b) fatturato inferiore o uguale a 44 milioni di sterline o un “totale di bilancio” (stato patrimoniale) inferiore o uguale a 38 milioni di sterline.

[20] Il quale a sua volta prevede la rimozione delle barriere di accesso alle PMI nel mercato dei contratti pubblici.

[21] In particolare, il comma 4 affermava che «in considerazione dell’interesse meramente locale degli interventi, le stazioni appaltanti possono prevedere di riservare la partecipazione alle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale per una quota non superiore al 50 per cento e in tal caso la procedura informatizzata assicura la presenza delle suddette imprese fra gli operatori economici da consultare». La suddetta sentenza censura la disposizione regionale sia per violazione del riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost, dal momento che la disciplina degli appalti pubblici ricade nella materia statale della “tutela della concorrenza”, sia per violazione, in qualità di parametri interposti, degli artt. 30, comma 1, d.lgs. 50/2016, che sancisce i principi di libera concorrenza e non discriminazione e 36, comma 2, dello stesso codice, in quanto introduce una possibile riserva di partecipazione non consentita dalla legge statale (in realtà, più che non consentita non era prevista).
[22] La disposizione prevede che «1. Le stazioni appaltanti hanno facoltà, con bando predisposto a norma delle disposizioni che seguono, di riservare agli enti di cui al comma 2 il diritto di partecipare alle procedure per l’affidamento dei servizi sanitari, sociali e culturali individuati nell’allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.

2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 6, devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

a) gli enti riservatari devono avere come obiettivo statutario il perseguimento di una missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi di cui al comma 1;
b) deve essere previsto un vincolo di reinvestimento dei profitti, per il conseguimento degli obiettivi statutari o, comunque, una distribuzione o redistribuzione fondata su considerazioni partecipative;
c) le strutture di gestione o proprietà degli enti devono essere basate su principi partecipativi o di azionariato dei dipendenti, ovvero richiedere la partecipazione attiva di dipendenti, utenti o soggetti interessati.

3. È esclusa la riserva a favore di enti che nei tre anni precedenti all’affidamento siano stati già aggiudicatari di un appalto o di una concessione per i servizi di cui al comma 1, disposti a norma del presente articolo.

4.La durata massima del contratto non può superare i tre anni».

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Project financing: pioggia di revoche 

Negli ultimi mesi, i giudici amministrativi si sono pronunciati con diverse sentenze in relazione a controversie in cui operatori economici, qualificati come proponenti o promotori di operazioni di finanza di progetto, si sono visti revocare, per varie ragioni, la dichiarazione di pubblico interesse della proposta o finanche l’aggiudicazione della gara (cfr., tra le più recenti, TAR Lombardia Milano, Sez. I, 22 aprile 2024, n. 1211; Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2024, n. 2069; TAR Puglia Bari, Sez. II, 28 febbraio 2024, n. 237).

La citata giurisprudenza è interessante perché può essere letta come una sorta di vademecum delle regole applicabili alla procedura di project financing, oltre che come osservatorio per comprendere quando gli atti di ritiro che incidono sfavorevolmente sulla sfera giuridica privata possono essere contestati con qualche ragionevole chance di successo.

Il primo punto, assodato in giurisprudenza, è che la procedura di project financing enuclea due serie procedimentali strutturalmente autonome, anche se collegate: la prima di selezione del progetto di pubblico interesse e la seconda di gara ad evidenza pubblica sulla base del progetto dichiarato di pubblica utilità.

La prima fase è connotata da alta discrezionalità amministrativa e, pertanto, il giudice amministrativo non potrebbe mai sostituirsi all’Amministrazione nel dichiarare il pubblico interesse di una proposta che sia stata sottoposta all’attenzione del soggetto pubblico.

La separazione funzionale delle due fasi implica che, al termine della prima, l’operatore economico definito proponente non possa rivendicare diritti in relazione alla seconda. Anzi, nemmeno una volta dichiarata di pubblico interesse la proposta del privato e individuato il promotore, l’Amministrazione è tenuta a dare corso alla procedura di gara; secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, da un lato, non sussiste alcun vincolo per l’Amministrazione e, dall’altro, il promotore è titolare di una mera aspettativa (non giuridicamente tutelata) a partecipare alla procedura di gara, condizionata dalle valutazioni di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione in ordine all’opportunità di contrattare sulla base della proposta.

Stessa conclusione anche per quanto riguarda il rapporto tra aggiudicazione e contratto: il promotore prelazionario o, comunque, l’aggiudicatario della gara non può rivendicare un diritto o una aspettativa giuridicamente qualificata alla stipula del contratto; di conseguenza, la revoca dell’aggiudicazione, se adeguatamente motivata, non può essere contestata solo in ragione di una posizione di interesse dell’aggiudicatario.

Ovviamente, la revoca, per essere legittima, deve basarsi su adeguate e circostanziate motivazioni.

Così, per esempio,  il TAR Lombardia, Sez. I, 22 aprile 2024, n. 1211, ha avuto occasione di recente di chiarire, giudicando di una revoca relativa ad una proposta inerente all’adeguamento, riqualificazione tecnologica, efficientamento energetico e gestione degli impianti di pubblica illuminazione comunali, che è da considerarsi generico e privo di specificità (perciò annullabile) un provvedimento di revoca che si appoggi alla disponibilità di «nuove tecnologie» più economiche, ma si limiti ad affermare tale circostanza senza circostanziarla anche rispetto alla decisione già presa, peraltro senza illustrare il perché non si sia valutato di procedere (invece che con una revoca) con una richiesta di adeguamento del progetto e che faccia riferimento al cambio della maggioranza politica in seno agli organi rappresentativi comunali, che non può costituire una valida ragione di revoca della dichiarazione di pubblica utilità e fattibilità di una già approvata proposta di project financing.

Lo ius poenitendi (cioè la revoca) può essere disposto legittimamente dall’Amministrazione anche post gara, ove sussistano adeguate ragioni per rivalutare l’interesse pubblico, come ha affermato il TAR Puglia Bari, Sez. II, 28 febbraio 2024, n. 237, riflettendo sulla valenza generale dell’art. 11-quinquies della L. n. 241/1990, secondo cui il potere di revoca dei provvedimenti amministrativi – nel caso di specie motivato per sopravvenuti problemi finanziari dell’ente e per le mutate condizioni economico finanziarie del contesto – è legittimamente esercitabile: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per un mutamento imprevedibile della situazione di fatto; c) per una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario.

Particolarmente interessanti paiono anche le pronunce che si interrogano sulla spettanza o meno dell’indennizzo ex art. 21-quinquies della L. n. 241/1990.

In relazione a detto aspetto, la giurisprudenza tende a negare il riconoscimento dell’indennizzo alla luce delle considerazioni che seguono:

  • “nella disciplina delproject financing l’obbligo di indennizzo ex  21 quinquies l. n. 241/90 risulta cedevole rispetto alla testuale disciplina differenziata dettata dall’art. 183, commi 12 e 15, del d.lgs. n. 50/2016, il quale riconosce al promotore il diritto all’indennizzo delle spese sostenute per la procedura solo ove il promotore non risulti aggiudicatario della gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7930)” (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2024, n. 1502);
  • la revoca della dichiarazione di pubblico interesse del progetto non dà diritto ad alcun risarcimento per il proponente nel caso in cui il procedimento di project financing non sia giunto alla fase dell’indizione della gara, dal momento che il soggetto individuato come promotore rimane, rispetto alla procedura di affidamento, nella posizione di potenziale concorrente e, come tale, non vanta alcun affidamento idoneo a consolidare una posizione suscettibile di fondare una responsabilità da parte dell’Amministrazione;
  • la dichiarazione di pubblico interesse non rappresenta un atto ad efficacia durevole attributivo in maniera definitiva di un vantaggio, in quanto prodromico all’indizione di una gara, non fondativo neppure di indennizzo in caso di revoca della stessa (Cons. Stato, Sez. V, 26 gennaio 2024, n. 847).

Vi è, infine, un’interessante questione processuale che merita di essere menzionata.

In merito al tipo di giudizio da instaurare a fronte di un contenzioso che riguardi gli atti della fase 1 (cioè la fase inerente alla selezione del progetto di pubblico interesse), il TAR Sicilia Catania, Sez. I, nella sentenza 29 aprile 2024, n. 1557 ha precisato che occorre far riferimento al rito ordinario e non al rito speciale ex art. 119 c.p.a., contenuto in una norma eccezionale, in quanto non si tratta, qui, di contestare “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture”; inoltre – rammentando l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (sentenza 27 luglio 2016, n. 22) – la locuzione “affidamento” contenuta negli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 c.p.a. “dev’essere decifrata come significativa dell’atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto”.

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In sostanza, se le argomentazioni sviluppate in giurisprudenza appaiono tutte accettabili, dal punto di vista giuridico, il timore è che questo trend possa legittimare una certa superficialità nell’esame delle proposte – “tanto poi c’è la revoca” – in un momento in cui la diffusione di modelli partenariali consente di far sì che i finanziamenti raccolti dai privati diventino una leva importante dell’economia diretta alla creazione di opere e interventi di interesse pubblico.

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