l Parlamento ha modificato gli artt. 9 e 41 della Costituzione ed è stato introdotto l’obbligo, per lo Stato, di tutelare l’Ambiente. È un risultato importante, ma ciò non significa risolvere di colpo i problemi. Secondo Sara Valaguzza “sono le azioni che dobbiamo pretendere e giudicare, non perché si riesca a comandare la natura, ma perché il bilanciamento tra interessi coesistenti sia fatto per davvero”.
La natura è un bene di tutti e va tutelato da subito per evitare conseguenze peggiori in un futuro non troppo lontano
C’è un oggetto la cui forza lascia talvolta esterrefatti. Che appare perfetto in sé, esattamente coerente e profondamente meritevole di ammirazione. Una bellezza feconda, che semplicemente è, domina sempiterna, grazie alle varie allegorie di sè. Fiumi, fiori, valli, ciliegie, leoni, tigri, tramonti, la pioggia. È un oggetto per lo più liberamente accessibile, è un bene di tutti, popolato da essere viventi, alcuni simili a noi, altri molto più piccoli, qualcuno più grande.
La natura cattura i nostri sguardi, suscita aspirazioni e desideri, comunica con un linguaggio profondo e lieve, risvegliando ricordi ancestrali. Ha una bellezza misteriosa. Alcuni fotografi lo hanno reso particolarmente evidente, con scatti che ci restituiscono la realtà anche più remota nella sua incantevole perfezione, avvolgendoci con un autentico senso di appartenenza al mondo.
Abbiamo capito in questo ultimo paio d’anni, come l’essere parti di natura sia irreparabile e tremendo. E quanto la nostra vita sia intersecata con quella del pianeta.
Le problematiche dell’emergenza climatica e del consumo eccessivo di risorse naturalirispetto ai fabbisogni della popolazione mondiale sono oltre l’allarme. I governi del mondo devono intervenire per evitare che le ferite provocate da noi stessi alla natura si ritorcano sulla vita delle persone. Se non lo faranno, la permanenza della specie non sarà possibile, a detta degli scienziati.
Gli articoli 9 e 41 della Costituzione modificati in maniera plebiscitaria
È in questo contesto che va letta la riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione, approvata in maniera plebiscitaria da ciascuna delle Camere del nostro Parlamento, tanto da non richiedere il referendum costituzionale previsto per le revisioni costituzionali.
La Costituzione è stata modificata nel momento in cui il bisogno di politiche efficaci a protezione dell’ambiente è riconosciuto come esigenza di tutte le popolazioni del mondo e l’inerzia degli Stati è rilevata e censurata da diversi Tribunali nel mondo. La riforma, di per sé, non aggiunge molto alla soluzione del problema ed enfatizzare la rilevanza delle aggiunte è come ammettere che, fino a ieri, la protezione dell’ambiente non era un compito dello Stato. Il che non è invece il pensiero di chi si occupa di studiare la fisionomia delle attribuzioni dei poteri pubblici, la cui responsabilità nella cura degli interessi pubblici implica di certo che chi ci governa doveva e deve avere delle strategie e una proposta per il futuro che includa la tutela nostra e del mondo in cui viviamo.
Del resto, il consenso parlamentare così massiccio alla riforma è prova del fatto che non è introducendo il principio della tutela dell’ambiente in Costituzione che si determina il contenuto delle azioni concrete che ne derivano in termini di politica energetica, di politiche del consumo, di filiere industriali, di regolamentazione sul consumo del suolo, eccetera. È sul piano attuativo dei principi che si situa il dissenso. Il dibattito si accende sulla pianificazione delle infrastrutture, sul nucleare, sugli obblighi di riduzione del consumo di C02, sull’economia circolare, sulle premialità per le azioni virtuose, sul costo dell’energia pulita.
Per un verso, la presenza dell’ambiente in Costituzione era divenuta ormai inevitabile. A partire dalle tavole della legge, è un dato di realtà che il diritto, con le adeguate forme, interviene a segnare i valori guida che uniscono le comunità e a dettare le regole per la nostra convivenza. Così, la giurisprudenza afferma il diritto delle persone a vivere in un ambiente sano, la legge impone di bonificare i terreni inquinati, punisce i reati ambientali, richiede di valutare l’impatto ambientale prima di approvare un progetto di un’opera pubblica o privata, sanziona gli inquinatori.
Per conseguenza, anche la nuova etica dell’azione delle amministrazioni pubbliche, delle imprese e di tutti noi che si ricava dal testo riformato della nostra Costituzione è uno specchio della percezione maggioritaria del rapporto tra società e “cose” di natura.
Dal lato dei compiti assunti dallo Stato, la riforma, all’art. 9 della Costituzione, introduce come obbligo per la Repubblica di tutelare, oltre al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della nazione, l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, e prevede che dovranno essere adottate delle leggi dello Stato per disciplinare i modi e le forme di tutela degli animali.
Per quanto riguarda, invece, il contesto più generale dell’attività economica, viene a modificarsi l’art. 41 della Carta, che prevede ora che l’iniziativa privata non debba svolgersi in modo da arrecare danno alla salute e all’ambiente, e dunque non solo più alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, oltre ad acconsentire a che la legge possa indirizzare detta attività e coordinarla per fini ambientali, oltre che sociali.
Per la verità, il diritto amministrativo dell’ambiente, ben prima della riforma della Costituzione, aveva elaborato norme di principio e di protezione dell’ambiente. Il codice dell’ambiente, infatti, enuncia il c.d. principio dell’azione ambientale affermando che la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio «chi inquina paga».
E anche il principio di sviluppo sostenibile si ritrova lì, declinato in una delle previsioni più moderne del quadro normativo vigente, che vale la pena riportare anche solo con un breve stralcio, al fine di lasciar intendere come il legislatore si sia già dedicato a promuovere la tutela dell’ambiente: “Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro”.
Un risultato importante, ma saranno i fatti a fare la differenza
Non è arrivata prima, dunque, la Costituzione, né stiamo assistendo ad una rivoluzione. Eppure, il risultato ottenuto è importante, perché innalza sull’altare dei diritti – diritti non delle persone ma di un bene pubblico considerato in quanto tale – quello che fino al Codice dell’Ambiente era rimasto nelle trincee delle procedure.
La riforma della Costituzione mette in primo piano un impegno istituzionale e politico, nei confronti di un oggetto, l’ambiente, che è considerato nella sua essenza a prescindere dall’essere umano, e verso il quale vanno ad introdursi obblighi di protezione.
Probabilmente la modifica più significativa non è quella dell’art. 9, perché, appunto, affermare che la Repubblica debba tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi (anche nell’interesse delle future generazioni) è una sorta di truismo, nel senso che il principio è sempre vero, mentre il problema sta nelle modalità di attuazione di questa protezione, modalità che però non può essere la Costituzione a specificare.
Invece, la modifica dell’art. 41 potrebbe avere effetti interessanti su alcune grandi (per importanza economica) leggi dello Stato, come quella sulla rigenerazione urbana. Il fatto che la normativa primaria (le leggi dello Stato e delle Regioni, in particolare) sia titolata, grazie alla Costituzione, ad indirizzare e coordinare l’attività economica per fini ambientali (oltre che sociali), apre la strada ad un disegno di sviluppo concentrato sugli impatti della attività a rilevanza economica e non solo, che porterà a migliorare il benessere complessivo delle comunità e a realizzare un progresso consapevole degli effetti delle azioni intraprese.
Naturalmente la torsione verso una economica sostenibile potrà essere sostenuta dagli operatori del mercato se accompagnata, nel breve e medio periodo, da adeguati incentivi, posto l’inevitabile incremento dei costi. Come tutte le cose importanti e attese da molto, occorre ora che le azioni di implementazione dell’impegno di tutela previsto in Costituzione siano ben meditate.
Questo perché difficilmente avere a che fare con l’ambiente significa trattare con diritti isolati. Piuttosto, le politiche ambientali sono intrinsecamente multipolari, perché riguardano l’idea di sviluppo del futuro dell’economia, ma anche degli spazi pubblici, delle città, dei trasporti, dei servizi. Ho provato a dare una definizione di “Ambiente” in un corso all’Università, ragionando per progressive approssimazioni sul significato del termine, nel tentativo di ottenere una sintesi completa ed esaustiva. La definizione prescelta ci ha portati a qualificare l’Ambiente come il luogo in cui essere umano e natura stanno in relazione. Abbiamo creduto a questa definizione fino a quanto uno studente ha avuto il coraggio di correggerla, facendomi presente che quella definizione, secondo lui, non includeva gli animali.
La consapevolezza della interdisciplinarietà tra discipline e della molteplicità di implicazioni delle politiche ambientali dovrebbe suggerire un’accorta meditazione, una politica di ascolto dei territori e una valorizzazione delle realtà locali. C’è tanta distanza tra la perfezione di Natura e l’insoddisfazione che talvolta lascia l’applicazione delle politiche pubbliche di protezione dell’ambiente.
La complessità però è inevitabile e l’eccessiva semplificazione è un male, perché diventa faciloneria, nascondendo una buona parte del quadro di insieme. La parola Ambiente, nell’ordine (alfabetico) enciclopedia Einaudi, sta tra Allegoria e Ambiguità. Questa assoluta casualità svela una verità: le allegorie dell’Ambiente, cioè le sue rappresentazioni concrete, hanno la prevalenza nel nostro immaginario sul concetto; il termine è sfuggente e le sue interpretazioni sono svianti.
Tutelare l’Ambiente indica un’azione ridondante, sempre giusta, perché di fatto impossibile. Come fai a non assolvere chi non riesce nell’intento, consacrato nella Costituzione, perché un’eruzione ha spazzato via una città o il caldo ha causato una siccità tale da portare alla morte neonati o vecchi? È una bugia che possano esserci principi efficaci di protezione dell’ambiente. Il principio è traditore. Sono le azioni che dobbiamo pretendere e giudicare, non perché si riesca a comandare la natura, ma perché il bilanciamento tra interessi coesistenti sia fatto per davvero.