Diritto di accesso e gare: la Corte di Giustizia impone una nuova riflessione sul bilanciamento con gli interessi commerciali del controinteressato Diritto di accesso e gare: la Corte di Giustizia impone una nuova riflessione sul bilanciamento con gli interessi commerciali del controinteressato
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Diritto di accesso e gare: la Corte di Giustizia impone una nuova riflessione sul bilanciamento con gli interessi commerciali del controinteressato

La pronuncia della IVª sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in data 17 novembre 2022 (causa C-54/21) (https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=FFD3F2230782655EF8B237664E6275D7?text=&docid=268028&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=364) offre l’occasione per tornare a interrogarsi sulla questione del (corretto) bilanciamento, nel contesto delle procedure di evidenza pubblica, di due interessi tra loro contrapposti: il diritto di accesso ai documenti presentati nell’ambito della procedura di gara, da un lato, e la tutela della riservatezza, specie in presenza di segreti tecnici, commerciali e/o industriali, dall’altro.

Le conclusioni che si traggono dal pronunciamento inducono le Amministrazioni nazionali ad una maggiore cautela nel momento valutativo delle richieste di accesso agli atti in relazione alle gare, posta la necessità di evitare che l’accesso diventi uno strumento per smontare la concorrenza nel mercato, attraverso la messa in comune di informazioni che, invece, dovrebbero restare riservate.

La sentenza precisa che:

  1. le norme del diritto UE mirano a garantire una concorrenza non falsata sia con riferimento alle procedure in corso che in relazione a quelle future;
  2. tra le Amministrazioni e gli offerenti intercorre un rapporto di fiducia, ragion per cui è necessario che i concorrenti possano sentirsi liberi di comunicare all’Amministrazione tutte le informazioni che ritengano utili senza temere che dette informazioni vengano rilevate a terzi;
  3. anche le informazioni che non rientrano nella nozione di segreto tecnico-commerciale possono presentare profili di riservatezza e, in quanto tali, essere sottratte, in via eccezionale, alla disciplina sull’accesso agli atti al ricorrere di determinate circostanze (ad esempio, qualora la loro diffusione ostacoli l’applicazione della legge o sia contraria all’interesse pubblico o pregiudichi gli interessi commerciali di un operatore economico, etc.);
  4. in presenza di dati riservati, gli interessi del richiedente l’accesso (ivi incluso quello di disporre di informazioni sufficienti per esperire un ricorso efficace) possono essere salvaguardati comunicando, in forma neutra, quanto sufficiente a consentire l’esercizio del diritto di difesa (ad esempio, chiedendo all’operatore la cui offerta è stata selezionata di fornire una versione non riservata dei dati).

La Corte rammenta, inoltre, che:

  1. anche le informazioni sulla filiera di cui si avvale l’offerente, ivi inclusi i subappaltatori, possono avere un valore commerciale nel contesto dell’attività d’impresa propria degli operatori economici e, pertanto, prima di essere esibite dall’Amministrazione deve darsi corso al bilanciamento di cui sopra;
  2. per quanto concerne la concezione del progetto e le modalità di esecuzione dell’appalto è compito dell’Amministrazione verificare se le medesime contengano elementi che possano essere protetti in virtù di un diritto intellettuale (es. diritto d’autore) oppure se sono portatori di un valore commerciale tale da riuscire a falsare la concorrenza sul mercato; in tal caso (e, dunque, a fronte di un rifiuto all’accesso integrale) va reso accessibile il solo contenuto essenziale.

Le statuizioni non sorprendono se si considera che il diritto euro-unitario dedica particolare attenzione alla salvaguardia della concorrenza (e, in particolare, di una concorrenza leale), oltre che delle invenzioni connesse con il know-how, tant’è che: i) la tutela dei segreti commerciali figura tra i principi generali del diritto dell’Unione europea (cfr. CGUE, sez. III, 14 febbraio 2008, causa C-450/06, Varec  SA c. Stato Belga, punto 49); ii) il mantenimento di una concorrenza leale nell’ambito delle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici costituisce un interesse pubblico importante da salvaguardare.

La Corte mette in luce che un’eccessiva apertura delle informazioni offerte dai concorrenti con riferimento alla propria offerta, in seguito ad una richiesta di accesso, potrebbe comportare, in via di fatto, un danno rilevante alla concorrenza, non giustificato nemmeno dalle esigenze di difesa in giudizio, laddove sia possibile, per esempio, consentire all’interessato di ottenere i dati necessari per esaminare la correttezza dell’azione amministrativa, riformulando informazioni sensibili dal punto di vista commerciale senza che la diffusione di esse vada a danno del know-how commerciale dell’impresa controinteressata.

Gli estensori della bozza del nuovo Codice sembrano aver colto la problematica, specie in punto di salvaguardia degli interessi dei controinteressati, prevedendo che essi possano formulare le proprie osservazioni ed eventualmente agire in giudizio per il caso in cu l’Amministrazione, nonostante il loro diniego, intenda dare corso alla richiesta di accesso.

La previsione non risolve, però, il problema che sta alla radice, ovverosia quello del bilanciamento tra due interessi contrapposti. C’è da chiedersi, in sintesi, se la libertà di iniziativa economica, protetta dall’art. 41 Cost., non imponga una nuova strategia per consentire il sindacato sugli atti delle procedure di evidenza pubbliche che non si risolva in un’azione perlopiù indirizzata dall’interesse del ricorrente ad acquisire informazioni commerciali per le prossime gare, più che a esaminare la correttezza dei presupposti dell’aggiudicazione.

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Nuovo Codice dei Contratti: commento agli artt. 56-112 di Sara Valaguzza

La Parte II del Libro II contiene alcuni istituti di carattere generale.
Le maggiori novità riguardano, coerentemente con l’impostazione generale del progetto di nuovo Codice, la prospettiva di concepire le gare e i contratti che ne derivano come luogo di creazione di valore pubblico, ulteriore rispetto alla prestazione che costituisce l’oggetto principale del contratto, grazie all’inserimento di obiettivi collaterali di carattere sociale ed ambientale, senza che l’eccessiva enfatizzazione della massima apertura alla concorrenza possa costituire a ciò un ostacolo.
Nell’ottica della reciproca fiducia, poi, la norma sulla revisione dei prezzi, anch’essa contenuta nella parte in esame, è l’emblema dell’intenzione, forse ancora non perfettamente realizzata, ma certamente nella mente del legislatore, di superare l’antagonismo tra la posizione e gli interessi del committente, da un lato, e dell’appaltatore, dall’altro, per farli convergere in una sinergia virtuosa e nell’interesse del bene comune.

Lo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici: dal sustainable procurement alla reputazione delle imprese
Parte II, artt. 56-112
Sugli ambiti di esclusione dall’applicazione del Codice con riferimento ai settori ordinari e sulla suddivisione in lotti, vengono sostanzialmente ribaditi gli istituti disciplinati nel D.Lgs. n. 50/2016 (cfr. artt. 56 e 58 dello Schema).

Sostenibilità
L’art. 57 in tema di clausole sociali e criteri di sostenibilità contiene subito qualche impulso novativo, là dove offre un’apertura all’inserimento nei documenti di gara di richieste e requisiti che non riguardano solo la stabilità occupazionale del personale impiegato, che torna a rappresentare, nel nuovo testo, solo uno dei possibili elementi da valorizzare per migliorare il perseguimento di finalità sociali attraverso le procedure di evidenza pubblica.

La questione della promozione dei criteri, di matrice internazionale, del sustainable procurement – nell’ambito dei quali suscitano particolare interesse, per esempio, le strategie elaborate in tema di Gender-responsive public procurement dall’European Institute for Gender Equality (2022) e, all’interno delle iniziative ONU, il documento Sustainable public procurement – 2022 Global review (2022) e quello intitolato Sustainable Public Procurement – How to Wake the Sleeping Giant (2022) – compare in maniera ancora più strutturata nella proposta inserita all’art. 61, dedicato ai contratti riservati. La norma, precisamente, consente di riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto o l’esecuzione del contratto a operatori economici e a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate.

Inoltre, con un riferimento ancora più diretto alle policies sovranazionali, il testo promuove l’azione delle Stazioni Appaltanti che prevedano nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari o come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, meccanismi e strumenti idonei a realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per i soggetti disabili o svantaggiati.

La previsione in questione, anche sulla scia delle regole introdotte dal PNRR, è significativa e utile per superare una certa ritrosia dei soggetti pubblici ad inserire requisiti o criteri premiali di carattere sociale, sia pure connessi all’oggetto dell’appalto, in assenza di una norma espressamente legittimante, ritrosia che, se la proposta venisse confermata, verrebbe a perdere le sue ragioni.

Revisione prezzi
L’art. 60, come conseguenza delle problematiche inerenti all’incremento anomalo dei prezzi e del dibattito che ne è conseguito, cristallizza l’obbligo per le Stazioni Appaltanti (già introdotto dall’articolo 29 del D.L. n. 4/2022, seppur in via transitoria per le procedure di gara avviate entro il 31 dicembre 2023) di prevedere, già nei documenti di gara iniziali, clausole di revisione prezzi, che potranno essere attivate solo al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta.

Il testo in esame, però, anziché introdurre un sistema di prezzario dinamico – che sarebbe risultato il meccanismo maggiormente coerente con il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale sancito nell’art. 9 dello Schema – torna a riproporre il metodo, rivelatosi del tutto insoddisfacente, riconducibile dal D.L. n. 4/2022 (cd. Sostegni-ter), che si basa sulle rilevazioni ISTAT semestrali.

Si deve tuttavia osservare che, in casi di alterazione dei prezzi imprevedibili e fluttuanti come quelli che stiamo affrontando, servirebbe probabilmente un sistema maggiormente flessibile, basato su prezziari dinamici, che potrebbe essere anche solo avallato dal nuovo Codice (e non necessariamente dettagliato), in modo che, se ce ne fosse bisogno, le amministrazioni possano utilizzare, senza timore di incorrere in violazioni di legge o contestazioni, a metodi di rilevazione degli incrementi dei costi basati su parametri oggettivi e contemporanei rispetto all’insorgere del problema – il semestre spesso non è un riferimento adeguato – e a clausole di adeguamento elastiche, che consentano alle imprese, e quindi ai contratti, di sopravvivere.

Qualifica delle stazioni appaltanti
La parte più importante del blocco di articoli che stiamo analizzando riguarda certamente la qualificazione delle Stazioni Appaltanti, affidata alle regole di cui agli artt. 62 e ss. dello Schema di nuovo Codice.

L’idea è quella di distinguere le amministrazioni aggiudicatrici per qualificazioni; i soggetti senza qualificazioni potranno occuparsi solo di affidamenti di importo inferiore alla soglia degli affidamenti diretti – non potranno progettare, bandire gare sopra soglia, né avviare PPP o curare l’esecuzione dei relativi contratti – e dovranno invece appoggiarsi a committenze che abbiano previamente ottenuto adeguata qualificazione, secondo i parametri forniti dalla delibera 28 settembre 2022 n. 441 di ANAC, volti a verificare le capacità di organizzazione della funzione di spesa e dei relativi processi, oltre che la consistenza, l’esperienza e la competenza delle risorse umane, anche in tema di progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, inclusa l’abilità specifica nella modellazione digitale per le costruzioni e nella ideazione e gestione dei contratti di partenariato pubblico privato.

Ecco che il pilastro della riforma che punta sulla discrezionalità delle Stazioni Appaltanti si completa con la riduzione del numero dei soggetti abilitati ad assumere il ruolo di enti banditori e di responsabile della fase esecutiva.

Realisticamente e pragmaticamente, l’obiettivo della elevata qualificazione è realizzabile solo con una riduzione dei protagonisti della formulazione della domanda pubblica.

Un ulteriore effetto virtuoso, secondo la logica propugnata dalla proposta di nuovo Codice, dovrebbe derivare dalla competizione tra i player pubblici del procurement, che dovranno essere scelti dagli enti non qualificati in ragione della loro capacità di rispondere puntualmente, in tempi brevi e con strategie efficaci, al bisogno di interesse generale esposto dal soggetto pubblico richiedente.

La proposta si preoccupa anche delle azioni necessarie per consentire al sistema di funzionare immediatamente e così stabilisce che, ex lege, sono iscritti di diritto nel registro delle Stazioni Appaltanti qualificate, istituito presso ANAC, i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, Consip S.p.A., InvitaliaS.p.A., Difesa Servizi S.p.A., l’Agenzia del demanio, i soggetti aggregatori di cui all’articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, Sport e salute S.p.A. È inoltre previsto che, in sede di prima applicazione, le centrali di committenza delle Provincie e delle Città metropolitane siano iscritte con riserva nell’elenco tenuto dall’ANAC, al fine di fornire un facile appoggio specialmente per gli enti locali sforniti dei requisiti per la qualificazione.

È evidente, dunque, la virata del sistema verso una professionalizzazione delle funzioni del procurement pubblico, che avvicinerà l’Italia ai sistemi dei Paesi più efficienti e maggiormente imitati, come quello del Regno Unito.

Proseguendo oltre, le norme relative agli operatori economici sono conservate sostanzialmente immutate nei loro passaggi chiave (cfr. artt. 65 e ss. dello Schema), così come quelle inerenti alle procedure di scelta del contraente (cfr. artt. 70 e ss. dello Schema), che sono state però riformulate a beneficio di una maggiore chiarezza nelle scansioni procedurali alle quali le precedenti previsioni rinviavano.

Commissione Giudicatrice
Vale piuttosto la pena segnalare la riscrittura della previsione in tema di Commissione giudicatrice: l’art. 93 recepisce alcune delle osservazioni pervenute dagli enti locali, che hanno segnalato la presenza di difficoltà operative legate al regime attuale.

E così, apparendo anche definitivamente archiviato il programma della generalizzazione dell’Albo dei commissari istituito e mantenuto dall’ANAC, è ora consentito che la commissione sia presieduta da un dipendente della Stazione Appaltante, e non necessariamente da un dirigente, purché in possesso del necessario inquadramento giuridico e di adeguate competenze professionali.

In caso di carenza di organico, la disposizione ammette il coinvolgimento di ulteriori soggetti, che dovrà avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità; il che significa, ci pare, che la scelta dei commissari esterni dovrà essere adeguatamente motivata e che dovrà essere reso disponibile almeno il profilo professionale del soggetto selezionato.

È stato inoltre previsto, in linea con gli orientamenti giurisprudenziali del caso, che della commissione giudicatrice possa far parte il RUP. E ancora, per la prima volta in una norma del Codice, è stata introdotta la regola per cui la commissione può essere chiamata a prestare supporto al RUP per la fase di verifica dell’anomalia dell’offerta.

Come sottolinea la Relazione, una delle maggiori novità dell’articolo in commento riguarda il superamento dell’orientamento secondo cui i soggetti con incarichi legati alla procedura non potessero ricoprire il ruolo di commissari: il nuovo testo, invece, ragiona al contrario, cioè reputa opportuno che coloro che conoscono in maniera più approfondita l’oggetto dell’appalto possano far parte della commissione, salvo, naturalmente, garantire l’assenza di conflitto di interessi.

Qui ancora, in linea anche con i suggerimenti di impostazione provenienti da più voci in dottrina, sembra che la norma sia coerentemente ricostruita alla luce dei principi della fiducia e del risultato, a partire dalle aspettative etiche e professionali di persone esperte e caute, e non costruendo un quadro normativo come se la fase patologica fosse inevitabile.

La Relazione precisa che, sia pure in assenza di una espressa richiesta in tal senso nel corpo della norma, la dichiarazione dell’assenza di conflitto di interessi andrà richiesta e rilasciata da tutti i commissari prima di procedere con le valutazioni del caso.

Esclusioni
Interessante anche l’art. 94 che riordina il tema delle esclusioni (sul quale ci si riserva di tornare più dettagliatamente in seguito), distinguendole tra automatiche e facoltative, rinviando, in quest’ultimo caso, all’esercizio del potere discrezionale delle Stazioni Appaltanti.

La tendenza a ridurre i casi di esclusione ove possibile si ritrova anche nell’art. 101, in tema di soccorso istruttorio, che esprime molto chiaramente il favor partecipationis, recependo quell’orientamento in base al quale deve essere possibile sanare ogni omissione, inesattezza o irregolarità degli atti di gara, con eccezione di quelle relative all’offerta tecnica ed economica. Come si legge nella Relazione “Chiave interpretativa della norma è la leale collaborazione delle parti (amministrazione appaltante e operatori economici), ispirata alla fiducia nell’attività amministrativa e alla responsabilità dell’operatore economico secondo i noti principi di buona fede, il tutto evidentemente nel rispetto del principio della par condicio.”.

Avvalimento
Anche la norma sull’avvalimento si candida per essere foriera di cambiamenti radicali (cfr. art. 104 dello Schema).

Secondo la Relazione, la disposizione normativa inquadra l’avvalimento non più solo nell’ambito dei requisiti ma anche in quello delle premialità: nel senso che, con il contratto di avvalimento, sarà possibile sia ottenere il mero prestito dei requisiti per partecipare alla gara, sia ottenere risorse aggiuntive da far valere all’interno dell’offerta tecnica.

Oltre a ciò, si nota che sono state espunte dalla norma le previsioni “a pena di esclusione”, così si spera che le omissioni formali non capaci di alterare la sostanza dello schema contrattuale sotteso all’avvalimento possano essere lette come sanabili attraverso il soccorso istruttorio.

La norma nuova, per la verità, lascia alcuni aspetti in ombra: per esempio, è possibile che la stessa impresa possa prestare avvalimento a concorrenti diversi? Oppure, è ammesso il subappalto dell’ausiliaria?

Poche novità circa i criteri di selezione delle offerte (cfr. art. 108 dello Schema), che pure si spogliano dei lunghi elenchi esemplificativi contenuti nell’attuale versione del Codice salvo il riferimento, nell’art. 109, alla reputazione dell’impresa, con la quale verrà tenuta traccia, all’interno di un sistema di monitoraggio istituito presso l’ANAC, della capacità esecutiva degli operatori economici e della loro proficua collaborazione con i committenti.

A riguardo occorrerà dotarsi di criteri oggettivi che possano consentire un effettivo confronto tra gli operatori, oltre che di sistemi di premialità che sappiano indurre condotte sempre più virtuose.

In generale, quindi, la parte in commento appare confermare lo spirito di innovazione che qualifica il testo proposto. Per aspera ad astra?

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Nuovo Codice dei Contratti: commento agli artt. 1-59 di Sara Valaguzza

Se si fosse fermato all’art. 11, con un bel rinvio al diritto europeo, alla normativa sovranazionale e alla discrezionalità delle PA, il nuovo Codice sarebbe stato una vera e propria rivoluzione. E anche se non è stato così – e realisticamente è ovvio che non avrebbe potuto essere così anche per ragioni tecnico-giuridiche – l’inserimento di una parte così estesa sui principi è un grande risultato per chi crede che la normativa sulle gare e sui contratti pubblici debba creare un sistema orientato alla realizzazione di obiettivi di valore pubblico, senza che ci si possa accontentare del (sia pur doveroso) rispetto delle regole procedurali.

Lo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici: dalla rivoluzione per principi al superamento dello stand-still per gli affidamenti sotto-soglia

Parte I, artt. 1-59

Nel testo uscito dal Consiglio di Stato, la scrittura di nuovi principi non è un’operazione superflua, né ridondante, ma realizza una virata, che sarà compito delle Stazioni Appaltanti non lasciare solo sulla carta, verso un ciclo in cui la domanda pubblica viene programmata per raggiungere anche obiettivi collaterali al contratto, capaci di creare una società migliore ed una economia inclusiva, verde e digitale.

Importantissimo il proposto art. 1, dedicato al principio del risultato. Finalmente si enuncia la necessità che il mercato dei contratti pubblici e tutta l’azione che lo contorna sia goals oriented, come auspicato qualche anno fa in un pamphlet i cui contenuti sembrano oggi tornare di interesse (per chi volesse approfondire, S. Valaguzza, Governare per contratto, Ed. Scientifica, Napoli, 2018).

Si chiede alle PA di perseguire il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. Dunque, il principio in questione potrà valere per motivare scelte orientate dal tempo e dal merito.

Si aggiunge che la concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. La precisazione è fondamentale, perché si riconosce che la concorrenza non è più un valore in sé e per sé, ma uno strumento per ottenere i migliori risultati.

È logico connettere, al principio del risultato, il pragmatismo, come metodo e parametro dell’azione razionale, orientata ai bisogni e alle circostanze del caso. E così, si comprende l’utilità dell’aver previsto che: “Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per: a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti; b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva.”.

In pratica, se una certa azione arriva al suo scopo non può essere oggetto di disappunto; anzi, chi l’ha compiuta deve essere premiato. Talmente logica la regola appena citata, che c’è da sperare che, nel dibattito parlamentare, si trattengano le “manine” maldestre.

Il principio della fiducia

Anche l’art. 2 è molto interessante, perché, riprendendo un analogo enunciato contenuto nella legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo in cui si richiamano i principi della collaborazione e della buona fede, afferma il principio della fiducia, o meglio, della reciproca fiducia, tra operatori economici e funzionari pubblici. Il principio della fiducia innerva lo schema del nuovo Codice in diverse parti e, come vedremo, ispira e orienta la rivisitazione di alcuni altri istituti chiave, come la previsione sul conflitto di interessi, il soccorso istruttorio, le esclusioni.

La norma, nella versione promossa dal Consiglio di Stato, si preoccupa di evitare il fenomeno dell’amministrazione difensiva – obiettivo che nella Relazione illustrativa è indicato come uno dei perni della riforma – e sceglie di proteggere il funzionario pubblico in buona fede. Secondo il testo attuale, se un funzionario non applica una legge o finisce per disapplicare le regole della gara o agisce palesemente con superficialità egli potrà essere considerato in errore, mentre invecechi si attiene ad un principio espresso da una sentenza o in un parere dell’ANAC, dell’Avvocatura generale o di altre autorità pubbliche, è legittimato ad agire senza che la sua condotta possa essere contestata. Il messaggio va, chiaro e diretto, alla Corte dei Conti e si inquadra nell’intenzione di riqualificare il ruolo (non tanto delle Stazioni Appaltanti in generale, ma piuttosto) degli esperti che opereranno all’interno degli uffici dedicati alle gare e ai contratti pubblici, che, per innovare, devono essere certi di non essere esposti a rischi personali non prevedibili.

L’intento di utilizzare i principi come via d’uscita dal guado di negatività, dai formalismi e dalle ritrosie ad innovare nei quali si trovano ora i contratti pubblici è reso evidente dall’art. 4 dello Schema, norma di grande intelligenza in una lettura tecnica, che chiarisce il fatto che “Le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3.”: ciò significa che tutto l’articolato deve essere letto in chiave finalistica con l’intento di realizzare il principio del risultato (art. 1), il principio della fiducia (art. 2) e il principio dell’accesso al mercato (art. 3).

Anche l’art. 8 dello Schema è il frutto di una importante presa di posizione in termini di teoria generale della capacità d’agire dei soggetti pubblici: la norma è dedicata al principio di autonomia contrattuale e supera un antico (e autorevole) orientamento del Consiglio di Stato (che ancora una volta dimostra di non peccare di autoreferenzialità) che aveva ritenuto esistente una regola implicita secondo la quale le PA sarebbero state titolate a stipulare solo quei contratti per cui fossero state autorizzate espressamente da una norma ad hoc. Ecco, la regola è invertita, come una parte della dottrina andava auspicando da anni, e si afferma il principio più coerente con l’art. 11 del codice civile e cioè che le pubbliche amministrazioni, essendo dotate di autonomia contrattuale, per perseguire le proprie finalità istituzionali possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge.

Quindi, tutti i contratti possono essere stipulati dai soggetti pubblici, salvo che non ci sia un divieto espresso per legge.

L’equo compenso

Fondamentale per i professionisti il divieto di prestazioni gratuite e l’affermarsi del principio dell’equo compenso.

Questo significa, per esempio, che le procedure per l’affidamento degli incarichi di consulenza legale dovranno prevedere una base di gara coerente con i nuovi parametri forensi e che non potranno essere assegnati incarichi quando i ribassi offerti violino l’equo compenso, intendendosi come tale quella remunerazione che possa dirsi proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, oltre che alle caratteristiche delle prestazioni (sull’equo compenso per i servizi legali, cfr. TAR Lombardia Milano, Sez. I, n. 1071/2021).

Al contrario, il Codice non vieta le donazioni e gli atti di liberalità tramite i quali beni e prestazioni possono essere diretti alle PA senza obbligo di gara.

Il prezziario dinamico

Il Covid e l’aumento, prima, dei prezzi dei materiali e, poi, dell’energia, hanno stimolato, probabilmente, anche l’enunciazione del principio, ovvio e sacrosanto, di conservazione dell’equilibrio contrattuale (cfr. art. 9 dello Schema), con annesso diritto alla rinegoziazione secondo buona fede per il ripristino dell’originario sinallagma.

La norma non delinea lo strumento pratico, ma rappresenta un valido appiglio per introdurre sistemi come il prezzario dinamico – cioè aggiornato su dati oggettivi rilevati da terzi indipendenti, anche mensilmente in condizioni di eccezionali sbilanciamenti dei prezzi come quelle che stiamo vivendo – di cui tanto si parla nel settore delle costruzioni.

Chiude la parte sui principi una norma di rinvio, per quanto non espressamente previsto dal Codice, che richiama, da un lato, le regole della L. n. 241/1990, con riferimento alle procedure di affidamento e alle attività amministrative in materia di contratti, e, dall’altro, il codice civile, per le regole sulla fase esecutiva.

La norma replica, di fatto, l’attuale art. 30, comma 8 del D.Lgs. n. 50/2016, norma della quale, però, la giurisprudenza amministrativa ha fatto scarso utilizzo, specialmente nella parte in cui si richiamano i principi civilisti, che, in verità, potrebbero dispiegare i loro effetti anche nella fase di gara; si pensi, per esempio, alla possibilità di ritenere integrate ex lege nel testo di un contratto di avvalimento, ai sensi dell’art. 1339 c.c.,  gli impegni assunti verso la Stazione Appaltante dall’ausiliaria, anche se non espressamente enunciati nel contratto.

In generale, alle carenze della disciplina della fase esecutiva risponde il codice civile: il nuovo testo respinge così al mittente le critiche di chi insiste nel richiedere più norme per la fase di vita dei contratti pubblici. Ciò significa che non vi sono, oggi, meno norme per i contratti pubblici di quante ve ne siano per i contratti privati. E così, per fare un esempio, al prossimo imprevisto evento di squilibrio planetario non avremo problemi nel dire che si applicano anche ai contratti pubblici le regole di mantenimento dell’equilibrio del sinallagma che valgono per i rapporti privatistici.

Più canoniche le parti che seguono quella relativa ai principi.

RUP o RUUP ?

Interessante che all’art. 15 si preveda l’ipotesi per cui le stazioni appaltanti che non sono enti pubblici territoriali – si pensi ad una società pubblica – possano individuare uno o più soggetti a cui assegnare le funzioni di RUP, per dare applicazione a quelle norme (evidentemente non tutte) del Codice alle quali sono tenute.

Inoltre, la norma codifica una situazione di fatto abbastanza diffusa nella prassi, che non tange il principio di unicità del RUP, ossia la presenza di un responsabile del procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e di un responsabile della procedura di affidamento. In realtà, l’attuale proposta normativa configura una novità importante, perché prima non inserita né nel Codice né nelle linee guida di ANAC, che anzi hanno sempre previsto un RUP unico, per le fasi di programmazione, progettazione, esecuzione ed affidamento.

 Conflitti di interesse

Dalla norma sul conflitto di interessi (cfr. art. 16 dello Schema) emerge un atteggiamento realista e contro la “sindrome del complotto”: si richiede che chi invochi il conflitto di interessi ne dia prova, allegando i presupposti specifici ed eventualmente adeguata documentazione, in coerenza, appunto, con il principio di fiducia.

La regola stabilisce, come in passato, l’impegno del funzionario ad astenersi ove abbia un conflitto di interessi, e naturalmente a dichiararlo, senza che per ogni procedura si debba invece confermare l’assenza del conflitto. La norma infatti prevede che la comunicazione debba essere inviata alla Stazione Appaltante se si versa nell’ipotesi di conflitto di interessi, e non per il caso opposto. Diverso il caso dei commissari di gara, i quali, per ogni procedura, come si legge nella Relazione Illustrativa, dovranno dichiarare preliminarmente di non trovarsi in alcuna situazione di conflitto ex art. 51 c.p.c.

Avanti con la digitalizzazione

La parte II del libro primo è dedicata alla digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti.

L’approccio è quello delle banche dati e della raccolta delle informazioni, con un ruolo centrale di collettore riservato all’ANAC. La raccolta e la condivisione dei dati sono il primo passo di un lungo cammino, che è appena cominciato, verso la digitalizzazione delle gare e dei contratti pubblici, che coinvolge l’intelligenza digitale/artificiale, gli smart contract, la blockchain, gli input per la sicurezza dei lavoratori, il BIM, etc.. Importante il fascicolo virtuale dell’operatore economico, istituito presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici mantenuta dall’ANAC, con riferimento al quale è possibile effettuare le necessarie verifiche relative ai requisiti e alla situazione degli offerenti.

Alla modellazione informativa è riservata una disposizione ad hoc, l’art. 43, che pare sostituire in tronco i cd. decreti Baratono e Baratono-bis (D.M. n. 560/2017 e D.M. n. 312/2021); il che – nonostante il grande contenuto innovatore dei citati decreti – è da ritenersi positivo, vista la pronuncia della Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato n. 1349/2019, secondo cui, per riconoscere ai Decreti citati il carattere della normatività – e dunque il valore giuridico dei regolamenti governativi – sarebbe stato necessario il parere della medesima Sezione, parere che però non era stato richiesto.

Modellazione digitale

Lo schema del nuovo Codice prevede l’obbligo della modellazione digitale a partire dal 1° gennaio 2025, tranne che per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria (a meno che questi non riguardino opere precedentemente eseguite con i metodi e gli strumenti di gestione informativa digitale), e l’eventuale previsione di premialità in fase di gara ove si utilizzi il BIM anche se non obbligatorio.

In tema di modellazione digitale, però, le previsioni più interessanti sono offerte dagli Allegati relativi ai contenuti della progettazione, che includono indicazioni relative ai necessari adeguamenti delle previsioni comuni per il caso in cui si ricorra a metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni. Per esempio, l’art. 31 dell’Allegato I.7 prevede che in caso di modellazione digitale “il capitolato informativo e il piano di gestione informativa devono riportare la eventuale equivalenza tra i contenuti informativi presenti nel computo metrico dell’intervento e quelli eventualmente presenti nei modelli informativi, oltre alla specifica relativa alle modalità di generazione da questi ultimi degli elaborati predetti, al fine di meglio governare la prevalenza contrattuale.”. Le disposizioni introdotte danno conto di alcune delle questioni problematiche sollevate dalle lacune del Codice attuale che, pur prevedendo la modellazione digitale, non aveva ancora introdotto i necessari adeguamenti relativi ai documenti di gara e agli obblighi per la Stazione Appaltante e per i vari organismi coinvolti nell’approvazione dei progetti o nella loro esecuzione. Il testo proposto, per esempio, adegua le attività di verifica al processo di modellazione digitale, si preoccupa del rapporto tra computo metrico estimativo e informazioni contenute nel modello, esplicita le modalità di estrapolazione dal modello del piano degli espropri, etc.

L’accesso ai dati

Rientra nella parte del Codice dedicata alla digitalizzazione del ciclo dei contratti anche la nuova norma in tema di accesso – dato che l’accesso agli atti dovrà essere assicurato in modalità digitale – concentrata sulla tutela dei controinteressati (cfr. artt. 35 e 36 dello Schema): nei casi in cui la Stazione Appaltante decida di non accogliere le motivazioni con le quali il destinatario della richiesta si opponga all’ostensione, l’operatore economico avrà la facoltà di presentare un ricorso giurisdizionale (con un rito speciale) che consenta di ottenere un giudizio sulle sue ragioni, prima che i documenti richiesti dal concorrente vengano concessi.

In tema di accesso, il nervo ancora scoperto, però, è quello relativo al rapporto tra diritto di difesa e ragioni di tutela del terzo: se prevale sempre e comunque il diritto di agire in giudizio avverso l’aggiudicazione, anche in presenza di informazioni dal valore commerciale non si vede a cosa serva che il controinteressato possa dimostrare che le ragioni di riservatezza addotte sussistessero realmente.

L’appalto integrato

Rientra l’appalto integrato (cfr. art. 44 dello Schema), ma solo per gli appalti di lavori complessi, in una previsione maggiormente ampia di quella contenuta nel D.Lgs. n. 50/2016, che prevedeva l’istituto solo per i contratti con prevalenza della componente tecnologica o innovativa. Il che però non ci pare molto coerente con l’idea di avere contratti che puntino al miglior risultato qualitativo possibile: chi meglio del costruttore può conoscere i dettagli del progetto esecutivo? Se c’è fiducia, come dichiarato nel titolo I sui principi generali, non vi sono ragioni per cedere ancora all’idea che separando la progettazione (in capo alla PA) dall’esecuzione (in capo all’appaltatore) si eviti che l’operatore economico se ne approfitti… È vero il contrario: il progetto esecutivo fornito dalla Stazione Appaltante consente all’appaltatore di iscrivere riserve, spesso fondate e, prima o poi, riconosciute e pagate. Dalle notizie di stampa, tuttavia, pare che il Consiglio dei Ministri sia intervenuto, a nostro avviso opportunamente, estendendo l’appalto integrato oltre i lavori complessi; quando vedremo il testo potremo confermare questa importante svolta del nostro ordinamento.

Poche le altre novità in tema di progettazione, articolata ora di default su due livelli, il progetto di fattibilità tecnico-economica e il progetto esecutivo (cfr. art. 41 dello Schema).

Sotto soglia

In tema di procedure di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, spicca l’art. 49 sul principio di rotazione, secondo cui è vietato l’affidamento o l’aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due affidamenti consecutivi abbiano ad oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, oppure nella stessa categoria di opere, oppure nello stesso settore di servizi.

Come esattamente questo principio operi, andrà sicuramente chiarito, a maggior ragione nel quadro del principio del risultato e della regola dell’economicità: nella logica pragmatica del nuovo Codice, certamente devono essere escluse le applicazioni meccaniche della regola della rotazione, che portino inefficienze o danni alle Stazioni Appaltanti, quando la via del riutilizzo del contraente uscente consentirebbe risparmi sull’istruttoria, riduzione dei tempi con i quali la prestazione richiesta può essere resa e un risultato maggiormente “garantito”.

La norma sulla rotazione, riprendendo l’impostazione delle Linee guida ANAC n. 4, precisa che la Stazione Appaltante può ripartire gli affidamenti in fasce in base al valore economico e che, in tale caso, il divieto di affidamento o di aggiudicazione si applica con riferimento a ciascuna fascia, fatto salvo quanto previsto ai commi seguenti. Il che significa, ci pare, che se una Stazione Appaltante articola, per ipotesi, due diverse fasce di valore, una da 0 a 50 e una da 51 a 100, l’affidatario di un incarico che si colloca all’interno della prima fascia potrà ricevere consecutivamente un incarico collocato nella seconda fascia senza violare il principio di rotazione, non così se i due affidamenti si trovano all’interno del medesimo range.

La domanda che sorge spontanea è se una Stazione Appaltante possa anche fissare una fascia che corrisponda al valore della soglia al di sopra della quale occorre dare corso agli affidamenti con gara. La risposta a questa domanda pare debba essere negativa, perché, di fatto, questo modo di procedere potrebbe comportare una disapplicazione della regola della rotazione, che trova campo, appunto solo negli ambiti in cui l’obbligo della gara non vi sia. Il che però non toglie la possibilità che si fissino delle soglie vicine a quella per le gare, per limitare l’applicazione del principio di rotazione, ove vi siano ragioni di interesse pubblico.

La nuova norma prevede, recependo gli orientamenti giurisprudenziali in materia, oltre che quelli di ANAC, che in casi motivati con riferimento alla struttura del mercato e alla effettiva assenza di alternative, nonché di accurata esecuzione del precedente contratto, il contraente uscente possa essere reinvitato o essere individuato quale affidatario diretto.

La selezione degli operatori sotto soglia

Da notare, sempre sui sotto-soglia, la previsione secondo cui per la selezione degli operatori da invitare alle procedure negoziate, le Stazioni Appaltanti non possono utilizzare il sorteggio o altro metodo di estrazione casuale dei nominativi, se non in presenza di situazioni particolari e specificamente motivate.

Interessante che si escluda proprio il metodo che sarebbe apparso, secondo la logica precedente, più giusto perché più asettico; invece, nell’era del principio del risultato, si preferiscono tutte quelle metodologie che promuovono la discrezionalità amministrativa e, dunque, le valutazioni di merito. Perciò, la scelta degli operatori da invitare alla procedura negoziata dovrà essere effettuata secondo criteri oggettivi, coerenti sia con l’oggetto sia con le finalità di affidamento, oltre che con i principi di concorrenza, non discriminazione, proporzionalità e trasparenza (cfr. allegato II.1).

Si chiarisce, finalmente, che i termini dilatori dello stand still processuale e sostanziale non si applicano agli affidamenti di contratti di importi inferiori alle soglie europee e che il contratto viene stipulato entro 30 giorni dall’aggiudicazione (cfr. art. 55 dello Schema).

Viene poi chiarito che, nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, alla commissione giudicatrice può partecipare il RUP, anche in qualità di presidente (cfr. art. 51 dello Schema).

Garanzie

Infine, per alleggerire gli oneri di partecipazione alla gara, lo Schema prevede che la Stazione Appaltante non richieda le garanzie provvisorie, salvo che nelle procedure negoziate senza bando in presenza di particolari esigenze che ne giustifichino la richiesta; in ogni caso il relativo ammontare non potrà superare l’1% dell’importo previsto.

Si riconosce poi alla PA la facoltà di non richiedere la garanzia definitiva (pari al 5% dell’importo contrattuale), oltre che per i contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, anche per i contratti di pari importo stipulati a valere su un accordo quadro (cfr. art. 53 dello Schema).

E siamo all’art. 55… di 229.

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Lo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici: ritorno alla discrezionalità delle Stazioni Appaltanti

Lo schema del nuovo Codice non merita commenti pressapochisti o sguardi che si accaniscano su un dettaglio perdendone altri mille.

Piuttosto l’operazione a cui il Consiglio di Stato ha dato corso, su mandato del Presidente del Consiglio dei Ministri del giugno scorso, deve essere anzitutto esaminata nel suo insieme, perché rappresenta un’operazione strategica senza precedenti, articolata secondo le migliori prassi internazionali, che fa dell’iniziativa in questione una vera e significativa riforma, spinta, come si sa, dal pungolo del PNRR.

La domanda pubblica come volano per l’economia

La proposta offre un quadro molto chiaro negli intenti, in una direzione che reagisce, in chiave proattiva e propositiva, ad una situazione di stallo e di scarsa qualità di un settore – quello della domanda pubblica – che può diventare, invece, un eccezionale volano della nostra economia.

Un utilissimo prodotto del percorso di analisi che ha portato lo schema del nuovo Codice, da un lato, a consolidare gli aspetti non problematici e, dall’altro, ad offrire soluzioni a temi critici, come quello della qualificazione delle stazioni appaltanti, o a proporre formulazioni volte a ridurre il contenzioso in ambiti delicati, come quello delle esclusioni, è rappresentato dalla Relazione illustrativa, la cui facilità di lettura è prova dell’attenzione che il gruppo di lavoro ha prestato al “farsi capire”, obiettivo di per sé meritorio.

La Relazione illustrativa offre al lettore, all’interprete, al giornalista, al funzionario pubblico, al politico, allo studioso, all’amministratore delegato, al giudice soprattutto, una narrazione delle intenzioni che hanno accompagnato e animato il testo, lasciando trasparire la complessità di un sistema troppo spesso approcciato con istinti punitivi più che con attenzione a cercare innovazione e miglioramento dei risultati.

Si legge, nella Relazione, della volontà di raccontare “la storia” delle procedure di gara.

In effetti, la spiegazione del perché si sia avallata una certa impostazione e non un’altra consente di interpretare al meglio il tessuto normativo rinnovato, comprendendo la direzione che si è voluta imprimere all’intero ciclo del procurement, nel suo essere un insieme di atti e azioni funzionali a fornire una risposta efficace ad un bisogno di interesse generale.

In quest’ottica, per esempio, prima di descrivere i principi di nuova introduzione, si declina il ruolo affidato ai principi generali nell’articolazione logica del nuovo Codice, qualificandoli come fattori della “memoria del tutto”: la Relazione, cioè, sintetizza il ragionamento che ha condotto alle scelte contenute nel nuovo testo facendo emergere che è stata abbandonata la credenza in un sistema onnicomprensivo e autoreferenziale, capace di tutto regolare, ed è stato invece affidato un ruolo centrale ad un nucleo solido di principi fondativi dell’intero nuovo sistema del procurement, considerati garanti del nuovo impianto razionale, capaci di fungere da ispirazione per la soluzione di casi dubbi, di situazioni eccezionali o non regolate e con funzione di completamentodell’ordinamento dei contratti pubblici.

Più responsabilità per chi si occupa di gare e contratti pubblici

Lo spazio dedicato ai principi è una delle modifiche maggiormente significative, perché esprime una importante torsione rispetto allo status quo, spingendo verso una grande responsabilizzazione di chi si occupa di gare e contratti pubblici, finalmente ingaggiato in un compito che viene qualificato come meritorio non solo per il doveroso rispetto delle formalità legali, ma anche perché deve garantire risultati di interesse pubblico.

L’ansia di ridurre la discrezionalità di funzionari, per anni tenuti al guinzaglio per evitare fughe in avanti rischiose dal punto di vista di astratti parametri di legittimità, è stata finalmente sconfitta dalla scelta per la fiducia nella autoresponsabilità delle Stazioni Appaltanti, con aumento dei margini delle valutazioni discrezionali e connesso incoraggiamento dell’innovazione e dell’iniziativa individuale.

Questa torsione sarebbe stata destinata a rimanere solo nella penna dei redattori del Codice se non fosse stata accompagnata, come invece è stata, da una serie di principi e regole di corredo, a protezione degli operatori pubblici che accettino di nuovo la sfida di farsi promotori di innovazione.

Lo schema proposto, con l’obiettivo dichiarato di superare “l’amministrazione difensiva”, include regole precise, destinate a delimitare prevalentemente l’azione della Procura della Corte dei Conti, che stabiliscono i confini della responsabilità che il funzionario agente assume dedicandosi ad operare nel settore delle gare e dei contratti pubblici: è previsto che può esservi colpa grave, e dunque elemento soggettivo di responsabilità erariale, solo se si agisca violando una norma o gli auto-vincoli amministrativi applicabili, oppure se si agisca in palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza oppure omettendo cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa; il tutto considerando quanto possa essere esigibile dal funzionario agente in relazione alle specifiche competenze e al caso concreto.

Inoltre, il nuovo testo esplicita il fatto che non possa mai costituire colpa grave la violazione o l’omissione in cui il funzionario sia incorso se questi abbia seguito un determinato indirizzo giurisprudenziale prevalente (dunque, non una tesi minoritaria) oppure se abbia dato seguito a pareri delle autorità competenti.

Valorizzazione della qualifica delle stazioni appaltanti

Il ritorno alla discrezionalità fa perno sulla qualificazione delle Stazioni Appaltanti, che rappresenta un altro decisivo perno della riforma: si affidano compiti importanti a soggetti (intesi sia come organizzazioni che come persone fisiche) che devono essere qualificati adeguatamente per svolgere il ruolo di promotori dell’innovazione e del valore sociale ed economico che alla loro attività valutativa è finalmente associato. Secondo la nuova disciplina, decisamente tranchant sul punto, un ente pubblico non qualificato potrà limitarsi a bandire gare entro la soglia dell’affidamento diretto (non più di 150 mila Euro).

Sotto un ulteriore aspetto, il disegno di riforma completa la strategia di tornare a puntare sulla discrezionalità delle Stazioni Appaltanti: la Relazione chiarisce che il progetto del nuovo Codice vuole essere anche un manuale operativo, quel manuale operativo, potremmo pensare, che non è riuscito all’ANAC di fare.

In effetti, gli allegati, la cui mole a prima vista parrebbe contraddire l’idea della semplificazione, sono stati concepiti in modo da essere esplicativi delle corrispondenti norme che si intendono attuare. Così, per fare un esempio, una norma del Codice illustra le funzioni del RUP e un allegato le dettaglia, indicando le singole attività del RUP.

L’obiettivo che si intravede è quello di fornire risposte anticipate a domande che nell’applicazione pratica del Codice potranno porsi, con un atto con valore di legge che possa fornire indicazioni pratiche e procedurali.

Il valore giuridico degli allegati non può che essere identico a quello della legge con la quale vengono approvati, ma la tecnica normativa è molto differente: il testo del Codice enuncia le regole, l’Allegato ne prevede, pragmaticamente, le principali declinazioni, eliminando anche la necessità di linee guida e regolamenti ministeriali che rendono sempre più articolato comprendere quali siano le norme applicabili in materia di appalti e dove reperirle. Gli allegati, quindi, rappresentano degli addenda che concentrano la disciplina degli appalti e delle concessioni, con la finalità di ridurre al minimo le previsioni extra Codice, che il gruppo di lavoro ha infatti voluto rendere immediatamente “autoesecutivo”.

Per la verità, è previsto che alcuni allegati vengano poi sostituiti con regolamenti ministeriali… nel frattempo ci godiamo un po’ di flessibilità.

Se questo impianto sarà confermato – non nei dettagli, ma nello spirito – potremmo sederci ai tavoli di discussione sulle strategie di regolazione del procurement, dimostrando come anche con la mentalità di un Paese di civil law si possa ottenere un impianto omogeneo di regole e procedure, oltre che un sistema sintetico di principi pronti a guidare l’eccezione.

Onore al merito, dunque, a chi si è dedicato a questo lavoro consegnandoci una riforma intrisa di innovazione e felicemente inquadrata nei principali dibattiti internazionali sull’argomento, dal sustainable procurement alla modellazione informativa nel settore delle costruzioni, dalle dinamiche collaborative al perseguimento di obiettivi collaterali.

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Questa partecipazione non s’ha d’acquistare. UN’ANALISI DEI PRIMI PARERI PREVENTIVI DELLA CORTE DEI CONTI IN MATERIA DI PARTECIPAZIONI SOCIETARIE PUBBLICHE.

 

  1. Il parere della Corte dei conti sulle partecipazioni pubbliche: un nuovo strumento di controllo preventivo

La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (L. 5 agosto 2022, n. 118), modificando l’articolo 5 del Testo unico delle società a partecipazione pubblica – TUSP (D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175), ha introdotto un nuovo strumento di controllo preventivo sulle partecipazioni pubbliche.

Si tratta dell’istituto del parere preventivo, che le Sezioni di controllo della Corte dei conti dovranno rendere sugli atti deliberativi di costituzione di nuove società pubbliche o di acquisto di partecipazioni in società già esistenti, entro il termine di 60 giorni dal ricevimento.

Il giudice contabile, come noto, aveva già un ruolo di peso sul controllo delle partecipazioni pubbliche, che tuttavia si realizzava soprattutto nel corso della vita delle società pubbliche: ad esempio, nella fase di razionalizzazione periodica delle partecipazioni in mano a soggetti pubblici.

Nella fase genetica della costituzione della società oppure dell’acquisto di quote, partecipazioni o azioni, invece, il coinvolgimento della Corte dei conti aveva unicamente un fine conoscitivo e quindi il giudice contabile non avrebbe dovuto pronunciarsi, ma solo apprendere il fatto.

Con l’ultima revisione normativa, invece, la scelta del legislatore è stata quella di dare un giro di vite alle partecipazioni pubbliche, introducendo un ulteriore strumento di controllo volto a evitare sin dall’origine la costituzione di società pubbliche inutili o inefficienti, o l’acquisto di partecipazioni all’interno di società che sarebbero doppioni per l’amministrazione acquirente, o le cui prospettive di business non ne rendono possibile la sostenibilità finanziaria. Fermo restando, come si vedrà, il potere delle amministrazioni di discostarsi dal parere e proseguire nell’operazione societaria deliberata.

Nelle prime delibere delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono emerse più o meno accentuate criticità in relazione alle operazioni societarie sottoposte al loro parere preventivo, con consegue incremento del grado di difficoltà per gli enti locali nel predisporre le delibere di partecipazione secondo i canoni normativi del Testo unico e nel rispetto dei parametri interpretativi che il giudice contabile sta sviluppando.

D’altra parte, la lettura delle delibere della Corte dei conti consente anche di individuare una guida per le operazioni in fieri, che possono essere meglio strutturate considerando i dictat che emergono dai pareri in questione.

  1. Quali sono le operazioni societarie coinvolte?

Il Legislatore ha espressamente limitato il controllo preventivo della Corte dei conti alle ipotesi di costituzione di una nuova società e di acquisto di partecipazioni, anche indirette, già esistenti.

Rimangono quindi escluse tutte le ulteriori operazioni societarie che non comportano per l’amministrazione l’acquisizione della qualifica di socio.

In proposito, la Corte dei conti dell’Umbria ha specificato che “la linea di confine per distinguere gli atti deliberativi da sottoporre all’esame della Corte dei conti e quelli, invece, esclusi in radice dall’obbligo di trasmissione da parte degli enti, deve individuarsi pertanto nell’assunzione della qualità di socio” (Corte dei conti, Sezione di controllo per l’Umbria, 30 novembre 2022, n. 80/2022/PAR).

E così, le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti hanno escluso la propria competenza a rilasciare il parere preventivo anche su operazioni di aumento di capitale senza ingresso di nuovi soci (cfr. Corte dei conti, Sezione di controllo per la Lombardia, 8 novembre 2022, n. 171/2022/PAR) e relativamente alla partecipazione ad un contratto di consorzio che non avrebbe determinato la successiva partecipazione dell’amministrazione alla società consortile (cfr. Corte dei conti, Sezione di controllo per la Lombardia, 6 ottobre 2022, n. 143/2022/PAR).

Parimenti, è stato affermato che la competenza del giudice contabile è esclusa in quei casi in cui l’operazione consista nella cessione di quote a un partner industriale selezionato con procedura di evidenza pubblica, salvo che l’operazione non comporti per il socio pubblico l’acquisizione di partecipazioni indirette per effetto del conferimento da parte del socio privato di asset aziendali, e comunque fermi restando i poteri delle Sezioni di controllo nell’ambito delle verifiche ai sensi dell’articolo 20 del TUSP in materia di razionalizzazione delle partecipazioni (Corte dei conti, Sezione di controllo per l’Umbria, 30 novembre 2022, n. 80/2022/PAR).

  1. Il giudizio di conformità operato dalla Corte dei conti

Il giudice contabile deve rendere un parere, obbligatorio ma non vincolante, su specifici parametri individuati dal nuovo comma 3 dell’articolo 5 del TUSP, che così recita: “L’amministrazione invia l’atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può esercitare i poteri di cui all’articolo 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e alla Corte dei conti, che delibera, entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento, in ordine alla conformità dell’atto a quanto disposto dai commi 1 e 2 del presente articolo, nonché dagli articoli 4, 7 e 8, con particolare riguardo alla sostenibilità finanziaria e alla compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa. Qualora la Corte non si pronunci entro il termine di cui al primo periodo, l’amministrazione può procedere alla costituzione della società o all’acquisto della partecipazione di cui al presente articolo.”.

Sin dai primi pareri resi dalla Corte dei conti, si è specificato che l’atto deliberativo dell’Amministrazione deve contenere idonea motivazione sui seguenti aspetti:

a. la compatibilità della partecipazione con i fini istituzionali dell’ente;

b. le ragioni e le finalità della partecipazione, valutate con riferimento alla compatibilità economica, alla sostenibilità finanziaria e alla ragionevolezza della scelta del modello di gestione diretta del servizio affidato;

c. la compatibilità con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa;

d. la compatibilità con le norme in materia di aiuti di Stato e la verifica della sottoposizione dell’atto deliberativo a forme di consultazione pubblica;

e. l’adempimento delle prescrizioni di cui agli articoli 7 e 8 del TUSP.

Su alcuni parametri, gli orientamenti della Corte dei conti si stanno assestando nel ritenere sufficiente una verifica di mera “conformità a legge” (in particolare, i criteri sub a, d e e); mentre, su altri parametri, come la compatibilità economica e la sostenibilità finanziaria delle operazioni societarie, il giudizio contabile deve essere più pregnante, dovendo essere svolto in termini di “sana gestione finanziaria” (in particolare, i criteri sub b e c) (in tali termini, cfr. Corte dei conti, Sezione di controllo per la Lombardia, 25 ottobre 2022, n. 161/2022/PAR).

3.1 Il controllo di conformità a legge

a. La compatibilità della partecipazione con i fini istituzionali dell’ente

Relativamente a tale criterio, la valutazione di compatibilità si risolve nel confronto tra l’oggetto sociale della società e le finalità proprie dell’amministrazione: infatti, nell’ottica della progressiva riduzione delle partecipazioni pubbliche, l’articolo 4 del TUSP dispone che vi sia un rapporto di stretta necessità (ossia, di “stretta inerenza”) delle partecipazioni sociali con le finalità dell’amministrazione socia.

Con riferimento alle società strumentali, cioè quelle società che producono beni e servizi a favore degli azionisti pubblici, la verifica del giudice contabile dovrà essere maggiormente pregnante, in quanto la motivazione analitica dovrà attestare la strategicità della partecipazione al fine di realizzare i fini pubblicistici dell’ente.

In merito, la Corte dei conti marchigiana ha recentemente censurato la delibera volta alla costituzione di una società consortile il cui scopo era quello di rafforzare l’impegno di alcuni Comuni nell’ambito delle iniziative culturali ed economiche sul territorio, rilevando che l’ente locale non aveva adeguatamente motivato circa l’indispensabilità della società nell’assicurare l’accesso a beni e servizi essenziali da parte della collettività amministrata (Corte dei conti, Sezione di controllo per le Marche, 2 novembre 2022, n. 115/2022/PAR). E, del resto, il caso di specie non pareva riconducibile nell’ambito dei servizi pubblici o di interesse pubblico, pur essendo ragionevolmente in linea con esigenze di rilancio del territorio locale.

Diversamente, là dove l’amministrazione intenda acquisire una partecipazione in una società che fornisce servizi di interesse generale o di committenza, la cui partecipazione è ammessa ex lege dall’articolo 4, comma 2, del TUSP, il giudizio contabile si limita a verificare l’esistenza di una corrispondenza tra la competenza territoriale dell’ente socio e l’ambito territoriale di operatività della società partecipata (Corte dei conti, Sezione di controllo per la Lombardia, 1° dicembre 2022, n. 209/2022/PAR).

d. La compatibilità con le norme in materia di aiuti di Stato e la verifica della sottoposizione dell’atto deliberativo a forme di consultazione pubblica

Relativamente a tali verifiche, i giudici contabili ritengono che l’attività di controllo “deve limitarsi a verificare che la deliberazione dell’ente dia o meno atto della compatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato”, nonrientrando tra le proprie competenze la valutazione di legittimità degli aiuti di Stato: infatti, quest’ultima è riservata alla Commissione europea, mentre l’AGCM, a cui la delibera è parimenti trasmessa, ha il potere di impugnare i provvedimenti che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato ai sensi dell’articolo 21-bis della L. n. 287/1990 (Corte dei conti, Sezione di controllo per la Lombardia, 25 ottobre 2022, n. 161/2022/PAR; 1° dicembre 2022, n. 209/2022/PAR).

Con riferimento all’obbligo di sottoporre l’atto a forme di consultazione pubblica ai sensi dell’articolo 5, comma 2 del TUSP, l’attività della Corte dei conti si risolve in semplice controllo formale dell’adempimento alla prescrizione di legge, ad esempio tramite pubblicazione dello schema di deliberazione da adottare sul sito internet dell’ente.

e. L’adempimento delle prescrizioni di cui agli articoli 7 e 8 del TUSP

Gli articoli 7 e 8 del TUSP individuano il procedimento che gli enti pubblici devono seguire nell’adottare, rispettivamente, le deliberazioni di costituzione di una nuova società o di acquisto di una partecipazione in una società già esistente.

Anche in questo caso, l’attività di verifica del giudice contabile non può spingersi sino a sindacare la legittimità e/o il merito della scelta dell’ente, ma consiste nel mero confronto tra il dato normativo e il tenore motivazionale della deliberazione di partecipazione.

Con riferimento alle società di nuova costituzione, la Corte dei conti dovrà verificare:

  • che la deliberazione sia adottata dall’organo competente (articolo 7, comma 1 del TUSP);
  • che l’atto costitutivo contenga “l’indicazione degli elementi essenziali dell’atto costitutivo, come previsti dagli articoli 2328 e 2463 del codice civile, rispettivamente per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata” (articolo 7, comma 3 del TUSP);
  • che lo Statuto sia conforme alle prescrizioni contenute nell’articolo 11 del TUSP, in materia di composizione degli organi di amministrazione e controllo;
  • che la deliberazione sia stata pubblicata sul sito internet dell’amministrazione (articolo 7, comma 4 del TUSP);
  • che la selezione dell’eventuale socio privato sia avvenuto con procedure di evidenza pubblica (articolo 7, comma 5 del TUSP).

Con riferimento all’acquisizione di partecipazioni in società già esistenti, considerato che l’articolo 8 del TUSP rinvia solamente ai primi due commi dell’articolo 7, l’oggetto di verifica sarà limitato alla corretta individuazione dell’organo che ha adottato la deliberazione di partecipazione.

3.2 Il controllo sulla sana gestione finanziaria

b. Le ragioni e le finalità della partecipazione: la compatibilità economica, la sostenibilità finanziaria e la ragionevolezza della scelta del modello di gestione diretta del servizio affidato

I primi pareri della Corte dei conti si sono soffermati in maniera assai analitica sull’analisi delle ragioni e della finalità della partecipazione, precisando che il giudizio contabile non consiste nell’analisi economica e finanziaria della documentazione allegata alle deliberazioni – attività che implicherebbe un giudizio di merito precluso alla Corte dei conti – quanto piuttosto nella valutazione dell’adeguatezza della motivazione sottesa alla decisione dell’amministrazione di procedere all’operazione societaria di costituzione o acquisto di partecipazioni in una società.

In particolare, tale giudizio investe i profili della convenienza economica, della sostenibilità finanziaria e della ragionevolezza della scelta della gestione diretta.

Con riferimento alla convenienza economica, i giudici contabili sono chiamati a vagliare le motivazioni che hanno condotto l’amministrazione ad acquisire la qualifica di socio e a non ricorrere più al mercato; in uno dei primi pareri, le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno specificato che “la valutazione di convenienza economica implica che la motivazione dia conto sia della funzionalità della soluzione rispetto alle esigenze e agli obiettivi dell’Amministrazione (profilo dell’efficacia) sia del corretto impiego delle risorse pubbliche(ottica dell’efficienza ed economicità)”.

Con riferimento ai limiti del sindacato del giudice contabile in sede di parere ex articolo 5 del TUSP, le Sezioni riunite hanno ritenuto che “lo scrutinio dell’atto deliberativo è teso ad accertare che l’istruttoria dell’Amministrazione abbia confrontato i risultati economici prevedibilmente derivanti dalle varie possibili forme di gestione tenendosi conto della qualità del servizio erogato e del diverso grado di efficienza nello svolgimento attraverso l’uno o l’altro strumento, mediante un calcolo dettagliato dei costi e dei benefici di ciascuno di essi”. (Corte dei conti, Sezioni Riunite, 27 ottobre 2022, n. 16).

Il giudizio sulla convenienza economica consiste in una valutazione estrinseca, il cui oggetto è la correttezza del giudizio di convenienza svolto dall’ente, basato su specifici calcoli dei costi e dei benefici dell’operazione.

Nella prassi regionale, invero, i giudici di controllo hanno ritenuto necessario che le deliberazioni di partecipazione siano corredate da ulteriori elementi contabili, al fine di consentire il vaglio della convenienza economica delle operazioni societarie sottoposte a parere.

Ad esempio, la Sezione regionale della Lombardia, inoltre, ritiene necessario che la delibera sia corredata anche da un’analisi delle proprie partecipazioni, così da evitare di possedere partecipazioni in società che svolgono attività analoghe, oltre che della dotazione organica della società, in modo che l’ente non si trovi a costituire o acquistare partecipazioni in società che sarebbero soggette all’obbligo di razionalizzazione e, dunque, di dismissione (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 25 ottobre 2022, n. 161; 1° dicembre 2022, n. 209).

Altre Sezioni regionali, invece, al fine di vagliare la convenienza economica, hanno ritenuto necessario che le deliberazioni siano corredate anche da un’analisi sulla fattibilità economico-finanziaria dell’operazione societaria (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per le Marche, 2 novembre 2022, n. 115).

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La sostenibilità finanziaria è valutata sia in ottica statica, con riferimento all’apporto iniziale di capitali da parte dell’amministrazione, sia soprattutto in ottica dinamica, avendo riguardo alla prospettiva di gestionedella società al fine di scongiurare il rischio per il socio pubblico di dover ricorrere al soccorso finanziario.

Se la valutazione statica può limitarsi alla semplice verifica della copertura finanziaria nel bilancio dell’ente, nella prospettiva della sostenibilità dinamica il giudizio contabile “deve aver ad oggetto il piano finanziario sviluppato dall’Amministrazione, valutandone la completezza e l’adeguatezza di approfondimento” (Corte dei conti, Sezioni Riunite, 27 ottobre 2022, n. 16).

I dati finanziari che gli enti locali dovranno necessariamente prendere come riferimento per la valutazione di sostenibilità di un’operazione societaria sono il fatturato della società, la capitalizzazione, i costi di funzionamento, con particolare riferimento alla spesa per il personale (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 25 ottobre 2022, n. 161; 1° dicembre 2022, n. 209).

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Infine, la motivazione della scelta di gestione diretta implica che, applicando i criteri di cui all’articolo 192 del D.lgs. n. 50/2016, l’ente locale debba effettuare una comparazione tra i benefici e i costi delle singole soluzioni possibili (i.e. ricorso al mercato o autoproduzione) e una valutazione di sostenibilità dei costi per la gestione diretta attraverso le tariffe da applicare alla cittadinanza (in tali termini, Corte dei conti, Sezioni Riunite, 27 ottobre 2022, n. 16; Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 1° dicembre 2022, n. 209).

Non solo: il giudizio dovrà riguardare anche la congruità dell’offerta dell’operatore in house, dovendo emergere dalla valutazione svolta dall’amministrazione sia l’esistenza di un fallimento del mercato, sia i benefici per la collettività dalla gestione diretta.

In realtà, su tale ultimo parametro di valutazione, il giudice contabile sinora non si è mai spinto in valutazioni di merito, limitandosi a dare atto dell’esistenza della motivazione sulla scelta di gestione diretta all’interno delle deliberazioni analizzate, “onde evitare possibili conflitti con le valutazioni che il Giudice amministrativo potrebbe essere chiamato ad effettuare in ipotesi di una eventuale impugnazione dell’atto di affidamento” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 25 ottobre 2022, n. 161).

c. La compatibilità con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa

Con riferimento alla compatibilità del modello organizzativo prescelto con i principi di efficienza, efficacia ed economicità, la prassi della Corte dei conti si è limitata ad osservare che tale valutazione possa essere svolta nel caso di acquisto di una partecipazione già esistente (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, 6 ottobre 2022, n. 124).

I parametri di valutazione presi a riferimento dalla Corte dei conti saranno gli standard e gli obiettivi gestionali raggiunti dalla società: tuttavia, così come per la motivazione della scelta di ricorrere al modello di gestione diretta, anche la compatibilità con le “3 E” appare essere stata vagliata dai giudici contabili dal punto di vista formale, essendosi limitati a prendere atto della presenza o meno di una specifica analisi da parte dell’amministrazione, senza procedere a una valutazione nel merito.

  1. E nel caso di parere negativo?

Il quarto comma dell’articolo 5 del TUSP prevede la possibilità per l’amministrazione di procedere all’operazione societaria anche in presenza di un parere, in tutto o in parte negativo: in particolare, “ove l’amministrazione pubblica interessata intenda procedere egualmente è tenuta a motivare analiticamente le ragioni per le quali intenda discostarsi dal parere e a dare pubblicità, nel proprio sito internet istituzionale, a tali ragioni”.

Tuttavia, la norma non disciplina le modalità né le procedure che l’amministrazione debba seguire per proseguire nell’operazione societaria già deliberata: infatti, il quarto comma prevede unicamente un onere di motivazione rafforzato, che dia conto delle ragioni per cui intende discostarsi dal parere del giudice contabile, e l’obbligo di pubblicazione sul sito internet di tali ragioni.

Le prime esperienze in cui gli enti locali hanno deciso di superare il parere negativo della Sezione regionale di controllo hanno preferito effettuare un nuovo passaggio nell’organo deputato all’adozione della deliberazione di partecipazione, al fine di adottare una nuova deliberazione di conferma (o, sarebbe meglio, di integrazione) della prima.

Ad esempio, a seguito di un parere in parte negativo relativo a una complessa operazione societaria relativa ad un’amministrazione comunale lombarda, il Consiglio comunale ha adottato una deliberazione di conferma della precedente, previa valutazione e condivisione di un documento di analisi redatto dal dirigente responsabile delle partecipazioni societarie dell’ente in cui venivano superate/integrate tutte le obiezioni del giudice contabile.

Si tratta di un modus operandi che pare conforme ai principi di buona amministrazione e di non aggravamento del procedimento: infatti, in tal modo, l’organo consiliare viene messo a conoscenza dei rilievi del giudice contabile (il parere della Corte dei conti deve essere pubblicato sul sito internet istituzionale entro 5 giorni dalla trasmissione) e, nel pieno della sua autonomia e sulla scorta dei rilievi tecnici da parte degli uffici preposti, può decidere se procedere ugualmente nell’operazione.

Non sembrerebbe invece necessario richiedere un nuovo parere alla Corte dei conti, considerata la possibilità di discostarsi dal parere che lo stesso legislatore ha attribuito alle amministrazioni pubbliche: si tratterebbe di un onere eccessivamente gravoso, che rischierebbe di paralizzare importanti operazioni societarie, soprattutto là dove i rilievi abbiano ad oggetto profili non sostanziali ma meramente formali, come ad esempio la mancata allegazione del controllo di compatibilità con gli aiuti di Stato.

Sulle conseguenze della decisione di procedere ugualmente con l’operazione oggetto di rilievi da parte della Corte dei conti grava, necessariamente, il rischio che gli stessi giudici contabili, nell’esercizio degli ordinari poteri di controllo successivo di cui sono titolari, possano avviare procedure di verifiche ad hoc per un possibile danno erariale.

  1. Molto potenziale se si sceglie la collaborazione

Il nuovo strumento normativo del parere ci pare possedere un potenziale notevole, perché permette di sottoporre al controllo del giudice contabile, in via preventiva, tutte quelle deliberazioni da cui derivano oneri finanziari spesso assai gravosi per le pubbliche amministrazioni.

Certamente, il controllo della Corte dei conti ha il grande pregio di rafforzare l’intento del legislatore, italiano e comunitario, di contrastare l’aumento ingiustificato del ricorso alle partecipazioni pubbliche e di ridurre quelle inutili e inefficienti, i cui risultati negativi gravano sui bilanci dei soci pubblici, in modo da tenere in vita solamente quelle società che apportano un effettivo valore aggiunto ai soci pubblici e alle collettività amministrate.

Sarebbe auspicabile che, considerata la possibilità delle amministrazioni di superare i pareri in tutto o in parte negativi, i giudici contabili, pur nel limite delle proprie prerogative, forniscano utili consigli per gli enti pubblici intenzionati a realizzare un’operazione societaria, anche volti a superare o integrare i rilievi espressi dalla Corte stessa.

Con un parallelismo che forse potrebbe apparire azzardato, le Sezioni di controllo potrebbero mutuare la figura del “dissenso superabile”, che la L. n. 241/1990 riserva all’istituto della conferenza di servizi: insomma, nell’ambito della collaborazione tra poteri, ci parrebbe possibile che i giudici contabili non si limitino a un mero giudizio negativo sulle operazioni societarie ma, spingendosi oltre, forniscano indicazioni precise alle amministrazioni per assicurare lo svolgimento di tutte le valutazioni economiche, finanziarie e di merito, necessarie per giustificare l’operazione ed, eventualmente, superare il parere negativo.

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Sostenibilità sociale e contratti pubblici: un binomio che può funzionare

L’approvazione del PNRR ha fatto tornare di estrema attualità il tema della sostenibilità. Quando ci si riferisce a quella ambientale è piuttosto semplice capire a cosa si faccia riferimento, ma anche la giurisprudenza amministrativa ha iniziato ad interrogarsi per capire come poter fare un miglior uso dei contratti pubblici per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale.

Il PNRR ha fatto tornare d’attualità il tema della sostenibilità

Anche grazie all’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il tema della sostenibilità o, per meglio dire, di una “maggiore” o “piena” sostenibilità è tornato di estrema attualità sia in chiave teorica che dal punto di vista pratico.

Se è più facile intuire a cosa si allude quando si parla di sostenibilità ambientale (si pensi – per fare qualche esempio – alle tematiche della neutralità climatica, della decarbonizzazione, dell’economia circolare, dello sviluppo delle fonti rinnovabili, dell’efficientamento energetico, della transizione ecologica), questa “immediatezza” viene meno quando si è chiamati ad affrontare il tema della sostenibilità sociale, tanto più in un settore – quale quello della contrattualistica pubblica – che solo in tempi piuttosto recenti ha iniziato a indagare il ruolo dell’azione di committenza nella creazione di valore pubblico.

In particolare, si è iniziato a osservare il ciclo del procurement abbandonando per un attimo la prospettiva lineare incentrata pressoché esclusivamente sulla “fase di gara”, per concentrarsi su un’idea circolare, che origina da una corretta individuazione del bisogno da soddisfare, passa attraverso la costruzione della procedura di evidenza pubblica, attua la c.d. call to market, seleziona la miglior offerta, per poi giungere – in chiusura del cerchio – a dare una risposta a quell’esigenza di interesse pubblico identificata in origine.

In questo modo, ci si è accorti che la committenza è in grado – con le proprie azioni – di influenzare non solo la risposta del mercato e le iniziative dei vari soggetti che lo compongono (es. persone coinvolte nei processi di produzione e fabbricazione), ma anche la domanda delle altre committenze pubbliche.

Inoltre, l’azione di committenza può anche incidere sulla promozione delle opportunità di lavoro, sulla riqualificazione della forza lavoro, sul miglioramento dei livelli di competenza, sull’attuazione di condizioni di lavoro dignitose, sull’inclusione sociale, sulla parità di genere e intergenerazionale, sul commercio etico, oltre che sul conseguimento di ulteriori impatti sociali positivi (cfr., sul punto, Comunicazione 2021/C 237/01 della Commissione europea, recante “Acquisti sociali – Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici (seconda edizione)”.

Proprio per questo, è importante (per non dire fondamentale) che l’azione dell’Amministrazione inizi a fare un “miglior uso” (o un uso concreto ed effettivo) dei contratti pubblici per “sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale” (cfr. considerando 2 della direttiva 2014/24/UE), per “stimolare l’innovazione” e per “migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo affrontare le principali sfide a valenza sociale” (cfr. considerando 47 della direttiva 2014/24/UE).

Del resto, lo stesso art. 30 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i. (c.d. Codice dei contratti pubblici), al comma 1, ultimo periodo, consente di subordinare il rispetto del principio di economicità “ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico”.

Parimenti, il successivo art. 95, al comma 6, secondo periodo, ha cura di precisare che “l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto” e l’art. 100, al comma 1, che “Le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto […]. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali”.

Non solo. Persino la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7053) ha iniziato a interrogarsi sul “problema dei limiti normativi entro i quali lo strumento dei contratti pubblici può essere utilizzato in una più ampia prospettiva funzionale per il perseguimento di interessi e obiettivi di natura sociale, ambientale o, più in generale, di sostenibilità sia dal lato del prodotto acquisito dal mercato, sia dal lato del processo specifico di produzione dei beni e servizi idonei a soddisfare i bisogni sottesi alla decisione dell’amministrazione di rivolgersi al mercato”, giungendo ad affermare che:

  • a. “l’introduzione di ulteriori interessi (di natura sociale) accanto all’interesse specifico all’acquisto di beni e servizi si realizza (nel caso in esame) mediante l’integrazione dei criteri di aggiudicazione, con la conseguenza che la valutazione di ammissibilità deve essere condotta alla stregua delle direttive ricavabili dall’art. 95 del Codice dei contratti”;
  • b. “la stazione appaltante può discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volte a conseguire obiettivi di natura sociale”;
  • c. “la condizione necessaria per il legittimo esercizio di tale potere discrezionale è costituita dalla verifica della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto nei termini della definizione di cui all’art. 95, comma 11 che considera connessi all’oggetto dell’appalto i criteri di aggiudicazione che ‹riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell’ambito dell’appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo di vita, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale›”, “fermo restando il limite da tempo individuato dalla giurisprudenza europea, ossia che il requisito non trasmodi nella previsione di criteri sociali che, abbandonando il legame con l’oggetto del contratto, prendano in considerazione gli aspetti relativi alla politica generale dell’impresa o altri aspetti estranei al programma contrattuale”;
  • d. “altri limiti sono di ordine generale e riguardano l’esercizio della discrezionalità dell’amministrazione nella selezione degli interessi sociali, ambientali o relativi a obiettivi di sostenibilità, la cui individuazione e il cui peso nell’impianto della gara devono scaturire dalla ponderazione sia con l’interesse specifico del contratto (ossia l’interesse all’acquisizione del lavoro, bene o servizio per il soddisfacimento di specifici bisogni dell’amministrazione) sia con i principi generali di proporzionalità, parità di trattamento, non discriminazione e concorrenzialità del mercato degli appalti pubblici”.

Cosa fare in concreto? Servono innanzitutto impegno e leadership delle amministrazioni

Come fare, dunque, per provare a dare voce in concreto a uno strumento (quale quello delle pratiche di acquisto socialmente responsabili) che le istituzioni europee definiscono “potente”, oltre che “strategico” e che consente di conseguire vantaggi sociali e di evitare o attenuare impatti sociali avversi durante l’esecuzione del contratto, nel rispetto dei limiti di cui sopra?
Come prima cosa, occorrono leadership e impegno presso le amministrazioni chiamate a gestire gli appalti socialmente sostenibili.

Non possiamo più pensare di aspettare che qualcun altro sperimenti per primo un’idea per provare a capire se può essere replicata, con quali risultati, a che costi e con quali elementi di possibile criticità da affrontare; è tempo di provare a osare/sperimentare nel rispetto del quadro normativo vigente e degli strumenti che abbiamo a disposizione. In altre parole, servono idee in circolo, così da contrastare l’inerzia, avendo ben chiari quali possono essere i rischi derivanti dalla mancata azione.

In secondo luogo, bisogna riuscire a individuare correttamente il bisogno da soddisfare attraverso la call to market, così da identificare, all’interno della strategia d’azione, l’obiettivo o i possibili obiettivi sociali da perseguire perché connessi con l’oggetto dell’appalto. Tali obiettivi possono essere individuati, a titolo esemplificativo, all’interno delle seguenti aree tematiche:

  • a. promozione di occasioni di lavoro e di inclusione sociale eque;
  • b. creazione di opportunità per l’economia sociale e per le imprese sociali;
  • c. promozione di condizioni di lavoro dignitose;
  • d. garanzia del rispetto dei diritti sociali, dei diritti dei lavoratori e dei principi del commercio equo;
  • e. acquisizione di beni, servizi e forniture accessibili a tutti, ivi comprese le persone con disabilità;
  • f. garanzia del rispetto dei diritti umani all’interno e lungo tutta la catena di approvvigionamento, aumentando la trasparenza grazie al monitoraggio dei subappaltatori e dei subfornitori e dei loro subappaltatori/subfornitori, analizzando i rischi presenti all’interno della filiera, incoraggiando l’adozione di codici di condotta rigorosi in materia di responsabilità sociale.

Vanno poi sfruttati appieno gli spazi di flessibilità di cui si dispone e non può mancare la consultazione con le parti interessate, inclusi gli utenti, le parti sociali, le associazioni di categoria e le imprese operanti sul mercato. Se il mercato è in grado di conoscere in anticipo le esigenze che dovrà soddisfare, può capire come organizzarsi e su cosa e come investire per offrire risposte efficaci ed efficienti.

Da ultimo, vanno individuati traguardi raggiungibili (entro un determinato arco temporale) e misurabili così da definire condizioni contrattuali adeguate, prevedendo – se del caso – apposite premialità (circostanza quest’ultima ammessa anche dall’art. 1, comma 2, lett. h), n. 3 della l. 21 giugno 2022, n. 78, recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”).
Solo in questo modo gli “auspici” possono provare a diventare realtà e rendere i contratti pubblici socialmente responsabili realmente efficaci.

Esempi concreti di good practices al riguardo si possono, in parte, ricavare dalle esperienze europee (Nantes, Paesi Baschi, Copenaghen, Soderhamn, Lisbona, Monaco, Vallonia, etc.) e, in parte, mutuare dal mondo degli accordi collaborativi.
In ambito nazionale si possono trarre spunti di riflessione dal Rapporto 2020 dell’Agenzia Intercent-ER (“Il contributo di Intercent-ER all’agenda 2030 e agli obiettivi di sviluppo sostenibile”), la centrale d’acquisto della Regione Emilia Romagna, che dal 2011 ad oggi ha attivato 49 convenzioni caratterizzate dalla presenza di criteri sociali in relazione a molteplici categorie merceologiche.

Si può, poi, prendere spunto – specie con riferimento alle tematiche della parità di genere – dalla United Nations Development Programme Procurement Strategy 2015-2017, dal Gender-responsive public procurement, documento elaborato dall’European Institute for Gender Equality (EIGE), dal Sustainable Public Procurement How to “Wake the Sleeping Giant” Introducing the United Nations Environment Programme’s Approach, Second Edition, oltre che da tutta una serie di iniziative di stampo nazionale, quali:

  • a. l’atto di risoluzione con cui l’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, in data 27 aprile 2022, ha impegnato la Giunta Regionale “a valutare, fin dalla predisposizione dei prossimi bandi regionali, gli strumenti più adeguati per l’introduzione, nelle procedure di gara, di criteri premiali di Gender responsive public procurement (Grpp) al fine di riconoscere e premiare il valore aggiunto delle imprese, anche nella forma di raggruppamenti temporanei o consortili, che al proprio interno promuovono la parità di genere e le pari opportunità”, oltre che “a condividere la conoscenza di tali pratiche con la rete degli Enti Locali e di tutti i soggetti che a vario titolo svolgono un ruolo attivo nell’attuazione delle politiche del lavoro in Regione Emilia-Romagna”;
  • b. la mozione con cui l’Assemblea legislativa dell’Umbria, in data 11 gennaio 2022, ha chiesto all’unanimità alla Giunta Regionale di “adottare lo strumento del Gender Responsive Public Procurement (GRPP) quale strumento di promozione della parità di genere nelle procedure di evidenza pubblica per l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di competenza della Regione o degli Enti dalla stessa dipendenti o controllati, nonché ai fini della valutazione di progetti presentati nell’ambito di avvisi e bandi regionali; definire i criteri e i parametri idonei a dimostrare la sensibilità degli operatori economici al tema della parità di genere e dunque ad orientare la valutazione delle commissioni giudicatrici in sede di aggiudicazione delle procedure; predisporre apposite linee guida per la redazione dei capitolati di gara al fine di fornire adeguate indicazioni alle stazioni appaltanti e garantire la più ampia diffusione dello strumento all’interno dell’amministrazione regionale e delle altre centrali di committenza operanti nel territorio”;
  • c. la delibera della Giunta Regionale della Puglia n. 1285 del 28 luglio 2021, recante “Primi indirizzi operativi per favorire l’eguaglianza di genere attraverso gli appalti pubblici”.
    Infine, non va dimenticato che, in data 16 marzo 2022, è entrata in vigore la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere all’interno delle organizzazioni.

La strada sembra tracciata. Non resta, dunque, che seguirla dando vita a iniziative concrete. Ma è proprio qui che viene “il difficile”.

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Rigenerazione urbana e territoriale, transizione energetica & accordi di collaborazione

La rigenerazione territoriale è anzitutto un nuovo approccio alle regole del costruire, alimentato da un trend globale in tutt’uno con l’idea politica di sviluppo sostenibile.

Questo nuovo approccio si basa su obiettivi chiari, enunciati a livello europeo:

  • riduzione consumo di suolo, in vista dell’obiettivo di azzeramento previsto entro il 2050 dalla “Strategia dell’UE per il suolo per il 2030” (COM/2021/699);
  • inserimento di funzioni sociali che consentano la riqualificazione;
  • incentivi (riduzione o esonero dal contributo di costruzione, ma anche incrementi di volumetria etc.) e premialità (anche per riqualificazione energetica);
  • partenariati pubblico privati.

L’idea politica della rigenerazione, che impone di guardare, insieme all’ambiente, alla società e all’economia, trova nuovo vigore nella riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione.

Risultano particolarmente interessanti, sotto questo profilo, alcune pronunce che hanno riguardato la legittimità di decisioni amministrative con le quali si è negata l’autorizzazione alla realizzazione di impianti per l’energia rinnovabile in ragione della necessità di tutela del paesaggio.

Dalla lettura di tali sentenze emerge una nuova sensibilità dei giudici amministrativi diretta a favorire iniziative economiche qualificate all’interno degli strumenti di sviluppo sostenibile (in primis gli interventi necessari per realizzare la transizione ecologica), richiedendo una sorta di motivazione rafforzata per le decisioni che, bloccando i percorsi autorizzativi, finiscono per ostacolare il percorso verso una inversione del ciclo economico che porti a convertire le forme di approvvigionamento tradizionali in modelli che permettano di risparmiare il consumo di materie prime naturali (Cons. St., Sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167).

Nel quadro della rigenerazione urbana si guarda alla creazione di valore pubblico come ad un fenomeno comunitario, compartecipato: la realizzazione di un programma di rigenerazione urbana rende necessaria la convergenza tra diverse forze, che è compito della politica rendere centripete.

Le norme dell’urbanistica e dell’edilizia non sono più regole del fare, ma sono diventate, all’interno del ciclo della rigenerazione, regole del divenire, nel senso che sono riconfigurate come attivatori di dinamiche sociali, economiche e ambientali che si riuniscono in una nuova logica.

Non a caso, le normative regionali in materia di rigenerazione territoriale sono costellate da finalità che sono riconducibili alla promozione e sviluppo di interventi di rigenerazione urbana sostenibile(L.R. Siciliana, 13 agosto 2020, n. 19); al recupero, riuso e valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e dei tessuti urbani (L.R. Campania, 10 agosto 2022, 13); alla creazione di spazi pubblici di elevata qualità (L.R. Marche, 23 novembre 2011, n. 22); al sostegno  della ripresa economica e produttiva (L.R. Veneto, 30 giugno 2021, n. 19).

Tuttavia, la previsione di finalità generali rischia di sfociare in una narrazione meramente ideologica, se non accompagnata da strumenti di misurazione adeguati e capaci di controllare l’intero processo di trasformazione legato alla rigenerazione in relazione ai target che sono stati condivisi.

L’elemento fortemente caratterizzante la rigenerazione urbana è dunque il nuovo metodo di approccio all’azione trasformativa del territorio e del patrimonio esistente, che si caratterizza per: scientificità, trans-disciplinarietà e per la sua multipolarità (istituzionale, sociale ed imprenditoriale).

Il fattore della multipolarità istituzionale (presenza di poteri attribuiti a diversi soggetti pubblici), sociale (le conseguenze della rigenerazione ridondano sulle nostre comunità hanno effetti diversi, talvolta anche in tensione tra loro) ed imprenditoriale (imprenditorialità privata e pubblica a confronto), se adeguatamente considerato, porta inevitabilmente verso l’adozione di strutture giuridiche collaborative.

La pluralità di interessi sottesa alla rigenerazione richiede una torsione dell’intero sistema giuridico pubblicistico verso strumenti di collaborazione che permettano di leggere la realtà non in maniera autoritativa ed impositiva, ma all’interno di un dialogo partecipato che sappia valorizzare le istanze imprenditoriali, del commercio, dell’industria e della società civile.

La multipolarità istituzionale, imprenditoriale, economica e sociale può essere efficientemente disciplinata all’interno di specifici accordi di collaborazione, che consentano di mettere a sistema i fattori chiave della rigenerazione e che favoriscano, durante tutto il processo di trasformazione, lo scambio di informazioni tra le varie discipline, in un ambiente di dati condiviso, che includa tutti gli attori del processo generativo in una unica alleanza unita verso i target di sostenibilità; ciò anche attraverso l’individuazione di specifici indicatori di risultato che permettano di premiare le condotte virtuose degli operatori economici capaci di produrre efficacemente valore aggiunto in termini di impatto sociale, economico e ambientale grazie alla loro azione.

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Un nuovo esempio di buone pratiche nel campo delle costruzioni private

Il “Code of Practice Tendering” è un documento elaborato dalla Liaison Committee of the Construction Industry, comitato fondato in Irlanda dai seguenti soggetti pubblici e privati:

  • Royal Institute of the Architects of Ireland (RIAI);
  • Society of Chartered Surveyors Ireland (SCSI);
  • Construction Industry Federation (CIF);
  • Association of Consulting Engineers of Ireland (ACEI);
  • Engineers of Ireland (EI).

Si tratta di un codice di condotta per le procedure di affidamento che ha come obiettivo quello di introdurre una guida da utilizzare nel corso delle procedure di selezione degli appaltatori nel settore privatodelle costruzioni.

L’esigenza di elaborare questo documento è sorta in ragione della necessità di uniformare le procedure di gara e di renderle coerenti con le continue evoluzioni del mercato delle costruzioni. Ne discende che il comitato si impegna a revisionare il documento ogni anno sulla base delle sopravvenute e necessarie esigenze del settore.

Il codice si articola in una serie di paragrafi contenenti le regole a cui i committenti dovrebbero dar seguito nel corso delle procedure di selezione.

Nello specifico, i contenuti variano a seconda del tipo di procedura scelto, se unica o in due fasi (tramite il cd. coinvolgimento preliminare dell’appaltatore).

Tra le clausole di maggior interesse si segnala, per esempio, la possibilità di ammettere le proposte di value engineering.

Infatti, si suggerisce ai committenti di valutare l’opportunità di consentire ai concorrenti di presentare, oltre all’offerta relativa al progetto posto a base gara, un’ulteriore proposta contenente un progetto alternativoche sia qualitativamente migliore, capace di ridurre i costi, o comunque in grado di produrre una serie di benefit per il committente (come, ad esempio, un cronoprogramma dei lavori ridotto, il miglioramento dei costi del ciclo di vita dell’opera etc.)(cfr. par. 4.15 “Tender value engineering proposals (VE)”).

Inoltre, sono previste ulteriori indicazioni relativamente a: i) modalità di presentazione e valutazione delle offerte; ii) trattative di post-aggiudicazione; iii) subappaltatori; iv) contratti cd. collaterali; v) garanzie e fideiussioni; vi) assicurazioni; vii) ritenute a garanzia; viii) BIM; ix) sicurezza, salute e welfare; x) edifici a impatto energetico quasi zero (NZEB); xi) revisione dei prezzi di materie prime e manodopera.

Per esempio, nell’ambito delle costruzioni nZEB (Nearly Zero Energy Building), il codice determina gli aspetti da considerare nel corso della predisposizione della documentazione di gara.

Il paragrafo 15.2 (“nZEB at the design stage”) prevede che “è importante stabilire fin dalle prime fasi di progettazione se si tratta di un progetto nZEB, in quanto è necessario dimostrare la conformità ai requisiti ad esso pertinenti. Se questo aspetto non venisse affrontato tempestivamente, i committenti potrebbero dover sostenere costi aggiuntivi per rendere il progetto conforme in una fase successiva. Ulteriori requisiti nZEB devono essere esplicitati e facilmente identificabili nella documentazione di gara”.

Inoltre, secondo quanto disposto dal paragrafo 15.3 (“Sub-contractors”) alcuni subappaltatori “in particolare quelli specializzati in ingegneria meccanica, di ventilazione, sanitaria e delle facciate, potrebbero essere tenuti a fornire una progettazione dettagliata nell’ambito dell’offerta”.

Infine, il paragrafo 15.5 (“nZEB additions to open and selective assessments”) suggerisce di “richiedere agli appaltatori di fornire prove attestanti esperienze precedenti relative a progetti edilizi nZEB o equivalenti”.

Il paragrafo successivo offre anche indicazioni relativamente alla revisione prezzi contrattuali di un qualche interesse. È stabilito, tra l’altro, che le clausole contrattuali  “provide for adjustments to the contract sum as a result of increases to wages and costs of materials necessary for the proper execution of the works made after the Designed Date. They also typically include an additional percentage to be added for any increases to permit the contractor to recover an element of profit, which would normally apply.”

Il documento rappresenta, dunque, un importante esempio, utile per la situazione che attualmente incide sulle procedure di appalto nel mondo privato.

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Incremento prezzi: la soluzione è nei contratti

Nel mondo dell’edilizia l’impennata dei prezzi dei materiali e del costo dell’energia sta mettendo in difficoltà tanti contraenti. In questo articolo, Sara Valaguzza fornisce alcuni suggerimenti per rivedere le regole del contratto rendendole funzionali ad affrontare il problema.

Fluttuazione dei prezzi e come affrontarla con adeguate previsioni contrattuali

L’incremento dei prezzi dei materiali da costruzione, a cui si è aggiunto quello dell’energia, sta schiacciando svariate centinaia di contraenti. Scrivo contraenti e non costruttori, volutamente. Perché la morsa riguarda certamente chi costruisce, ma non solo. L’incremento dei costi si riflette inevitabilmente anche sul committente che, pur quando riesce a prevedere un budget (cosa nient’affatto scontata), di questi tempi non vi può comunque fare affidamento per prevedere i costi dell’opera, se non in termini di larghissima massima.

Insomma, il sistema del prezzo chiuso e quello del prezzo massimo garantito sono al collasso.
Il fatto che contraenti e contratti siano a rischio nel momento della ripresa e resilienza appare come uno di quegli strani scherzi del destino.

Nel contesto della instabilità dei prezzi, ancora una volta (esattamente come durante il Covid), purtroppo, la relazione tra le parti non trova risposte adeguate né soluzioni nella disciplina “tradizionale” dei contratti di costruzione, spesso basati su clausole capestro, ad uso e consumo del contraente più forte, utili finché non servono davvero ad affrontare problemi reali, come sono invece quelli che abbiamo davanti.

In queste righe, proverò a fornire alcuni suggerimenti per rivedere le regole del contratto rendendole funzionali ad affrontare il problema di fronte al quale di questi tempi ci troviamo (e nei prossimi tempi ancora ci troveremo).

Riparto da un concetto che ritengo basilare e che sono ben consapevole di semplificare, a beneficio di una discussione ampia, non per soli addetti ai lavori.
Il concetto appartiene al diritto, ma è comprensibile facilmente sulla base della esperienza comune: il contratto di appalto di lavori non è un contratto aleatorio, ma è un contratto commutativo, cioè un accordo con il quale una parte affida ad un’altra parte, che paga, la realizzazione di un’opera, assieme all’organizzazione dei mezzi necessari e alla gestione utile allo scopo.

In altri termini, a differenza di quanto accade quando si sottoscrive un contratto di assicurazione (contratto aleatorio), in cui un soggetto si assume il rischio di un altro (per esempio, nel caso della assicurazioni contro il c.d. rischio vita, il rischio che una persona muoia prematuramente) a fronte del pagamento di un prezzo (c.d. premio), versato come canone periodico a scadenze convenute, quando si sottoscrive un contratto di costruzione ciascuno dei due contraenti accetta solo quella parte del rischio che rientra nell’alea normale del contratto, senza assumersi il rischio dell’altro né di eventi imprevedibili.

In poche parole, il rischio del contratto di appalto di lavori, per l’appaltatore, riguarda l’obbligazione di costruire un’opera secondo le regole dell’arte, nel tempo convenuto e ai prezzi pattuiti, nelle condizioni che è normale aspettarsi alla luce delle circostanze previste o prevedibili secondo buona fede.
Per il committente consiste, principalmente, nell’obbligazione di pagamento secondo tempi e importi concordati.
Né il committente né l’appaltatore si assumono invece il rischio degli eventi imprevisti ed imprevedibili che modificano il rapporto contrattuale
, rendendolo non eseguibile o eseguibile a condizioni ben diverse.
E difatti se la prestazione diventa impossibile
(un terremoto rende inagibile la zona sulla quale si dovrebbe costruire un palazzo) o eccessivamente onerosa (una casa viene a costare il doppio del previsto), disarticolando l’accordo (il famoso sinallagma) e alternandone lo schema negoziale, le parti possono sciogliersi dal vincolo che hanno accettato di assumersi.

Su che cosa si intenda, poi, per eccessiva onerosità si potrebbe discutere. Per quanto riguarda la tematica dell’aumento dei prezzi, direi che nessuno potrebbe seriamente mettere in dubbio che si tratti di un evento eccezionale, che merita rimedi eccezionali.

Un esempio per tutti aiuterà a comprendere che cosa ha inteso la giurisprudenza civile in tema di contrattualistica privata per eccessiva onerosità. Nel 1988, la Corte di Cassazione (Cass. Civ., 23.05.1988, n. 3575), tenuto conto che il prezzo di un trattore nordamericano oggetto del contratto di compravendita di cui si discuteva in giudizio era vincolato al valore del dollaro, ha ritenuto divenuta eccessivamente onerosa l’esecuzione della prestazione dal momento che si era verificato uno “scossone” valutario che avrebbe portato il prezzo di acquisto del trattore a 23.867.694 lire da 19.500.000.
Questa vicenda è utile perché consente di confermare che la fluttuazione dei prezzi, la svalutazione, l’inflazione sono tutti elementi considerati, oltre certi limiti di “normalità” o “prevedibilità”, causa di eccessiva onerosità capace di portare alla risoluzione del contratto ove si tratta di modifiche significative che, se conosciute dall’inizio, avrebbero potuto condurre i contraenti ad accordarsi per pattuizioni differenti.

Fatto questo primo passaggio, è possibile procedere al secondo: quando accadono circostanze impreviste che sovraccaricano una delle parti, è possibile, invece che sciogliere il vincolo negoziale, trovare nuovi equilibri. In particolare, quando si verificano fatti imprevisti od imprevedibili che fuoriescono dalla normale alea del contratto, l’ordinamento giuridico consente alla parte che subisce la maggiore onerosità di chiedere al giudice di risolvere il contratto, liberandola dalle obbligazioni assunte. In situazioni del genere, l’altra parte può evitare la risoluzione offrendosi di modificare equamente le condizioni del contratto, ripristinando così, in altri termini, il sinallagma.

Tralasciando per il momento la (a mio avviso sterile) discussione sul se la norma in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta – e la conseguente possibilità di rinegoziazione – sia applicabile ai contratti pubblici (possibilità sulla quale l’ANAC pare avere sollevato diversi dubbi, ritenendo che l’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016 non sia compatibile con l’art. 1467 c.c.) non vi è dubbio che vi sia nel nostro ordinamento giuridico un principio che consente di riequilibrare i contratti in ragione di dinamiche dialogiche e collaborative che portino ad inserire modifiche concordate a beneficio della prosecuzione equilibrata della relazione contrattuale.

Ovviamente, applicare questo principio ai contratti di appalto sarebbe salvifico in questo momento per riattivare gli ingranaggi dei contratti di costruzione.

La risoluzione di un contratto di costruzione a causa dell’alterazione del sinallagma dovuta al continuo stravolgimento dei prezzi di contratto, si sa, non è una soluzione per nessuno. Come è possibile allora intervenire sui contratti con sistemi che consentano alle parti dei contratti di costruzione di dotare gli accordi, internamente (cioè all’interno dell’articolato contrattuale), di schemi operativi che consentano di ripristinare quell’equità che occorre per evitare ora la risoluzione, ora la sospensione, ora la gara deserta?

Sulla base dei due passaggi logici sopra formulati, a me pare che, semplicemente, la soluzione al nostro problema sia da affidare ad un meccanismo revisionale, da inserire nei contratti in corso, aggiungendo un apposito articolato alle pattuizioni che legano i contraenti o integrandolo nelle regole dei contratti nuovi, con il quale le parti prevedano, con una certa periodicità (una volta ogni mese, ogni bimestre, ogni semestre, comunque come si creda meglio), di esaminare l’elenco prezzi del contratto per valutare se esso contenga dei prezzi non più coerenti con le aggiornate condizioni del mercato.

Ove uno o più dei prezzi contrattualizzati fossero anormalmente alti o bassi, allora l’accordo tra le parti dovrebbe consentire di esaminare la situazione in contraddittorio, per valutare azioni capaci di attenuare gli effetti del rialzo e per cogliere l’opportunità di eventuali ribassi, ed eventualmente concordare il riconoscimento del maggiore costo assunto nel periodo di riferimento. Le clausole dovrebbero anche consentire al committente, auspicabilmente in collaborazione con la direzione dei lavori, di richiedere ogni documentazione opportuna per evitare fenomeni di c.d. over compensation dell’appaltatore e, al contempo, dovrebbero tutelare quest’ultimo per il caso in cui il committente si rifiuti irragionevolmente di riconoscere l’aumento oggettivamente prodotto all’interno del mercato di riferimento.

Accanto a clausole del tipo appena accennato, sarebbe bene che le parti concordassero un registro dei rischi dedicato a definire misure che spronino l’appaltatore e la sua filiera a porre in essere misure di attenuazione del rischio, per esempio favorendo una programmazione che sfrutti momenti di acquisto di materiali in momenti strategici, eventualmente anche accordando sistemi di anticipazione o di acconto.
Alcuni spunti, per i contratti di appalto privati, si trovano nella disciplina (peraltro non soddisfacente) degli appalti pubblici.

Portare la contrattualistica al centro del dibattito per la soluzione dei problemi del caro prezzi piuttosto che la legislazione, e il principio di trasparenza e collaborazione, piuttosto che la furiosa interpretazione di precetti che nascono già vecchi, potrebbe avere anche una utilità sistematica complessiva per il mercato delle costruzioni nel suo insieme.
Del resto, l’esperienza dei decreti Ministeriali – l’ultimo dei quali è pure stato sospeso dal TAR – non è riuscitissima (per usare un eufemismo).
Si arrenderà mai il nostro governo a lasciare che ci si concentri sui contratti invece che sulla legge? Io spero sempre che quel momento arrivi presto.

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STATO DELL’ARTE SULLA DECARBONIZZAZIONE NEL SETTORE CONSTRUCTION

L’espressione Net Zero Carbon descrive l’obiettivo di raggiungere “emissioni nette zero” di gas serra, allo scopo di contenere il riscaldamento climatico globale come richiesto dall’Accordo di Parigi, che intende limitare l’aumento della temperatura a +1,5°C entro la fine secolo. Nel frattempo, la ricerca ha dimostrato che per evitare i peggiori impatti climatici, le emissioni di carbonio devono essere dimezzate entro il 2030 e raggiungere il target di Net Zero entro il 2050.

Il concetto Net Zero si differenzia da quello di Carbon Neutrality, che significa ottenere un risultato finale di zero emissioni di carbonio per un’azienda, un sito, un prodotto, un marchio o un evento, limitando le emissioni nella misura in cui ciò sia possibile e, in un momento successivo, compensando le emissioni rimanenti con una quantità equivalente di emissioni evitate o compensate (offset emissions). Ciò può essere ottenuto, ad esempio, acquistando crediti di compensazione delle emissioni di carbonio (carbon offset credits) per compensare la differenza. Il Net Zero rappresenta, invece, un obiettivo più ambizioso che si applica all’intera organizzazione e alla sua value chain: significa ridurre tutte le emissioni indirette di carbonio, partendo dai fornitori a monte (upstream suppliers) e giungendo fino agli utenti finali. Per andare oltre la Carbon Neutrality e raggiungere il Net Zero, dunque, occorre ampliare il modo in cui si pensa al carbonio.

A tal fine, la norma ISO 14064-1 fornisce una classificazione delle emissioni: le emissioni dirette (Scope/Categoria 1) da fonti o sorgenti all’interno dei confini organizzativi posseduti o controllati dall’organizzazione, che possono essere stazionarie (ad esempio, caldaie, generatori elettrici, processi industriali) o mobili (ad esempio, veicoli); le emissioni indirette (Scope2/Categoria 2) correlate alla combustione associata alla produzione dell’energia finale (elettricità, calore, vapore, aria compressa, ecc.) e utilizzata dall’organizzazione; tutte le altre emissioni indirette (Scope 3/Categoria 3-4-5-6) che si verificano nella value chain di un’azienda e che derivano, ad esempio, dalla produzione di materiali di input, da viaggi d’affari, da spostamenti casa-lavoro, dalla gestione dei rifiuti, dalle varie fasi di utilizzo e dal fine vita dei prodotti. Al fine di raggiungere l’obiettivo di Net Zero, le imprese sono obbligate a comprendere e ridurre le emissioni in tutte le categorie di emissione.

Uno dei settori di mercato a più elevata carbon footprint è sicuramente quello delle costruzioni. Infatti, secondo l’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, un percorso conforme a contenere l’innalzamento della temperatura terrestre a +1.5°C richiede che le emissioni da costruzione siano ridotte dell’80-90% entro il 2050, raccomandando l’utilizzo di materiali a basso tenore di carbonio come misura di mitigazione[1].

Inoltre, la Commissione Europea, nella comunicazione “A Clean Planet for all”, imputa agli edifici la più alta percentuale di consumi finali di energia all’interno dell’UE, pari al 40% del totale, ma ritiene possibile che, grazie all’utilizzo delle tecnologie già disponibili, tutti i nuovi edifici siano nel breve termine NZEB (Nearly Zero Energy Building), cioè edifici a energia zero, in cui vengono quasi eliminate le emissioni associate al loro uso e all’energia impiegata per riscaldarli, raffreddarli, illuminarli e alimentarli. Tuttavia, se l’obiettivo NZEB è tecnicamente raggiungibile in Europa in tempi brevi, nell’ottica di un bilancio complessivo rispetto al ciclo di vita degli edifici, le emissioni associate al c.d. carbonio incorporato, cioè quello derivante dalla produzione, dal trasporto, dallo smaltimento dei materiali da costruzione e dal processo di costruzione stesso, potrebbero aumentare progressivamente il proprio contributo. Per questo motivo, risulta necessario affrontare in una prospettiva più ampia la decarbonizzazione, puntando piuttosto alla realizzazione di edifici a emissioni quasi zero (NZCB, Net Zero Carbon Building). Ciò può essere ottenuto attraverso una migliore progettazione degli edifici, l’estensione del loro ciclo di vita, la riduzione dei rifiuti da costruzione, il riutilizzo e il riciclaggio. Questo approccio maggiormente onnicomprensivo e lungimirante è favorito non solo da un uso più avanzato del BIM e dallo sviluppo delle competenze dei progettisti, ma anche da una normativa a livello nazionale che incoraggi l’armonizzazione tra progettazione strutturale e progettazione della sostenibilità.

Nel nostro Paese, sono diversi gli strumenti che sono stati adottati a tal fine, soprattutto con riferimento alle costruzioni nel settore pubblico.

Innanzitutto, i Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali che devono essere rispettati dagli operatori economici che si interfacciano e concludono contratti con le pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, nonché per l’esecuzione di lavori.

Si tratta, infatti, di parametri prefissati per legge per le varie fasi del processo di acquisto delle p.a., volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.  Essi sono definiti nell’ambito di quanto stabilito dal Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione e adottati con Decreto del Ministero della Transizione Ecologica. L’efficacia dei CAM è stata successivamente assicurata grazie all’art. 18 della L. 221/2015 e, successivamente, all’art. 34 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” del Codice dei Contratti pubblici, così come modificato dal D.Lgs 56/2017, che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti.

I CAM relativi ad affidamenti di servizi di progettazione e affidamenti di lavori per interventi edilizi sono stati approvati con D.M. 23 giugno 2022, n. 256, e comprendono, oltre a determinate tecniche progettuali di livello territoriale-urbanistico, anche specifici requisiti attinenti alla prestazione energetica, all’illuminazione, al fine vita, ai prodotti da costruzione e alle attività di cantiere.

Un altro principio che è entrato a far parte del nostro ordinamento dal sistema comunitario in materia di sostenibilità delle diverse attività economiche, tra cui il settore edilizio, è il c.d. DNHS – Do No Significant Harm, letteralmente “non arrecare un danno significativo”.

Il Regolamento UE 2020/852, infatti, definisce ecosostenibile quelle attività che soddisfino contemporaneamente le seguenti condizioni: (i) dare un contributo sostanziale  ad almeno uno dei seguenti sei obiettivi ambientali (mitigazione del cambiamento climatico; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione dell’acqua e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; tutela e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi); (ii) “non arrecare un danno significativo” a nessuno degli altri obiettivi ambientali[2]; (iii) essere svolte nel rispetto di garanzie sociali minime.

Questi principi generali sono successivamente stati specificati nel Regolamento delegato UE 2021/2139 della Commissione, precisando per ogni singolo ambito le prescrizioni minime da assolvere al fine di evitare un danno significativo. Il paragrafo 7, in particolare, determina i criteri di vaglio tecnico da rispettare per l’edilizia e le attività immobiliari. Quest’ultimi sono: la capacità di apportare un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici; la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici; l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la propensione nei confronti della transizione verso un’economia circolare; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; la protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Da ultimo, il regolamento UE 2021/241, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, ha stabilito che tutti i piani adottati dagli Stati membri per usufruire dei fondi europei soddisfino il vincolo DNSH. Di conseguenza, esso risulta anche tra i pilastri fondamentali del PNRR italiano.

Un ulteriore esempio di trasposizione della normativa europea in materia di ecosostenibilità a livello nazionale riguarda la disciplina degli investimenti pubblici. Infatti, nel nostro Paese, tutte le decisioni relative ad essi devono essere coerenti ecompatibili con il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, così come definiti dal Regolamento UE 2020/852 sopracitato, il quale istituisce un quadro che favorisce le attività economiche eco-compatibili.

A tal fine, in primo luogo, il decreto-legge 111/2019, convertito dalla legge 141/2019, ha previsto che il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) assumesse, a partire dal 2021, la denominazione CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), con lo scopo di assicurare una maggior coerenza delle politiche settoriali e territoriali con gli impegni assunti in sede internazionale ed europea, tra cui l’Agenda ONU 2030, le conclusioni delle Conferenze sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, l’Accordo di Parigi, l’Accordo di Glasgow e lo European Green Deal.

In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con direttiva del 7 dicembre 2021 concernente le “Linee di indirizzo sull’azione del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) per l’anno 2022”, ha individuato gli indirizzi operativi riguardanti gli investimenti pubblici sostenibili. In particolare: (i) le amministrazioni componenti il CIPESS promuovono investimenti programmati coerentemente con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile; (ii) con delibera del CIPESS, entro l’anno 2022, sono definite le linee guida generali riferite alle proposte di investimento pubblico da sottoporre all’esame del Comitato, (iii) il DIPE promuove intese con le amministrazioni componenti il CIPESS al fine di pervenire a una metodologia volta alla definizione della documentazione istruttoria e progettuale che deve corredare la presentazione degli interventi da sottoporre al CIPESS, predisporre una procedura di valutazione ex ante di tali iniziative e una procedura di valutazione ex post dei risultati ottenuti.

Infine, a livello normativo, la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica edilizia (EPBD, Energy Performance of Building Directive) è il principale strumento legislativo dell’Unione Europea per ottenere il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici. La direttiva prevede, infatti, che: “gli Stati membri entro il 31 dicembre 2020 dovranno assicurare che tutti i nuovi edifici siano a energia quasi zero, e che dopo il 31 Dicembre 2018 i nuovi edifici occupati e di proprietà di autorità pubbliche siano a energia quasi pari a zero” (art. 9).

La direttiva europea è stata recepita in Italia con il D.L. 4 giugno 2013, n. 63 (convertito con L. 3 agosto 2013, n. 9) e con il D.M. 26 giugno 2015. Le scadenze erano le seguenti: dal 1° gennaio 2019 gli edifici di nuova costruzione occupati da pubbliche amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, dovevano essere edifici a energia quasi zero, mentre dal 1° gennaio 2021 la disposizione di cui sopra si estendeva anche agli edifici privati. Per questo motivo sono stati introdotti una serie di strumenti di incentivazione come il Superbonus 110%, il Conto Termico ed i Certificati Bianchi.

A livello regionale, Lombardia ed Emilia-Romagna avevano già previsto tale obbligo: in Lombardia, l’obbligo è in vigore dal 2016, per tutti gli edifici nuovi o in ristrutturazione, sia pubblici che privati (cfr. Decreto n. 6480/2015); in Emilia-Romagna, l’obbligo è in vigore dal 2019 (cfr. Delibera n. 967/2015).

Secondo i dati dell’Osservatorio degli edifici a energia quasi zero (nZEB) – costituito presso ENEA – Agenzia Nazionale Efficienza Energetica – relativi al biennio 2016-2018, nel 2018 gli edifici NZEB in Italia erano 1400, di cui il 90% erano nuove costruzioni (delle quali l’85% era a uso residenziale).

Purtroppo, non è ancora stato pubblicato un dossier più recente, ma dati interessanti sono desumibili da un recente articolo de la Repubblica[3]: a Milano, ad oggi, ci sono 4.363 edifici NZEB (di cui il 94,9% sono di carattere residenziale, mentre il restante 5,1% sono uffici ed esercizi commerciali). Inoltre, per il 77,5 % si tratta di edifici di nuova costruzione, mentre il restante (circa) 16% è costituito da interventi di riqualificazione su edifici già esistenti. Infatti, Milano è un’eccellenza da questo punto di vista, essendo la città italiana con la più alta concentrazione di edifici con certificazioni ambientali.

Già nel 2019 veniva inaugurata la scuola primaria di viale Puglie in seguito alla sua riqualificazione, un edificio progettato e costruito interamente in BIM, con massimi livelli di efficienza energetica grazie ai pannelli solari, alla facciata ventilata, al nuovo tetto e ai nuovi serramenti.

Esempi ancora più recenti di costruzioni NZEB sono Torre Gioia 22 e L’Arca.
Torre Gioia è un grattacielo di 35.800 mq che si sviluppa su 26 piani e che è stato realizzato in seguito alla demolizione dell’edificio ex INPS in disuso dal 2012, dopo una bonifica che era stata necessaria al fine di rimuovere oltre 200 tonnellate di amianto. L’immobile è dotato di oltre 6.000 metri quadri di pannelli fotovoltaici integrati nella facciata che, assieme all’utilizzo dell’acqua di falda, consentono una riduzione del fabbisogno energetico del 75% rispetto a edifici tradizionali. Addirittura, l’energia prodotta dal sistema fotovoltaico sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico di 306 abitazioni. 
L’Arca, invece, è la nuova sede del Gruppo CAP. Si tratta di un edificio di 11.250 mq che si sviluppa su 6 piani. È una struttura altamente sostenibile grazie alla scelta dei materiali per l’involucro esterno (pietra lavica) e al ricorso a pannelli solari (442) che garantiscono il 61,7% dell’autonomia energetica. Inoltre, per il sistema di riscaldamento e raffreddamento, al fine di evitare l’impiego di acqua potabile, è stato predisposto un impianto che utilizza l’acqua di prima falda oltre che le acque meteoriche (opportunamente filtrate).

 

 

[1] IPCC, Strengthening and Implementing the Global Response, in Global warming of 1.5°C. An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty, 2018.

[2] Ai sensi dell’art. 17 del regolamento sopracitato, un’attività economica arreca un danno significativo: 1. alla mitigazione dei cambiamenti climatici se conduce a significative emissioni di gas serra (GHG); 2. all’adattamento ai cambiamenti climatici se l’attività conduce a un peggioramento degli effetti negativi del clima attuale e del clima futuro previsto su sé stessa o sulle persone, sulla natura o sugli attivi; 3. all’uso sostenibile o alla protezione delle risorse idriche e marine se nuoce al buono stato o al buon potenziale ecologico di corpi idrici, comprese le acque di superficie e sotterranee; o al buono stato ecologico delle acque marine; 4. all’economia circolare, inclusa la prevenzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei rifiuti, se l’attività conduce a inefficienze significative nell’uso dei materiali o nell’uso diretto o indiretto di risorse naturali quali le fonti energetiche non rinnovabili, le materie prime, le risorse idriche e il suolo, in una o più fasi del ciclo di vita dei prodotti, anche in termini di durabilità, riparabilità, possibilità di miglioramento, riutilizzabilità o riciclabilità dei prodotti; l’attività comporta un aumento significativo della produzione, dell’incenerimento o dello smaltimento dei rifiuti, ad eccezione dell’incenerimento di rifiuti pericolosi non riciclabili; o lo smaltimento a lungo termine dei rifiuti potrebbe causare un danno significativo e a lungo termine all’ambiente; 5. alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento se l’attività comporta un aumento significativo delle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo rispetto alla situazione esistente prima del suo avvio; 6. alla protezione e al ripristino di biodiversità e degli ecosistemi se nuoce in misura significativa alla buona condizione e alla resilienza degli ecosistemi; per lo stato di conservazione degli habitat e delle specie, comprese quelle di interesse per l’Unione.

[3] A Milano 4.300 edifici supergreen non inquinano e risparmiano energia, in La Repubblica, 19 settembre 2022.

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