Con la sentenza n. 9, del 15 luglio 2025, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha fornito chiarimenti sulla corretta interpretazione degli artt. 122 e 124 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), i quali disciplinano rispettivamente la dichiarazione di inefficacia del contratto e la tutela in forma specifica a fronte di un’aggiudicazione illegittima.
La vicenda trae origine da una gara finalizzata all’individuazione di un contraente con cui stipulare una convenzione, in applicazione degli artt. 26, comma 1, della L. 23 dicembre 1999, n. 488, e 1, comma 4, lett. a), della legge della Regione Lombardia 28 dicembre 2007, n. 33, per la fornitura, agli enti sanitari, del servizio di pulizia e disinfezione degli ambienti.
Il disciplinare di gara prevede che tale convenzione avrebbe dovuto stabilire:
i) l’importo massimo contrattuale, pari al prezzo complessivo offerto dall’aggiudicatario;
ii) la regolamentazione dei singoli contratti attuativi della convenzione;
iii) la durata dei contratti attuativi pari a 60 mesi.
L’Adunanza Plenaria è intervenuta per dare esecuzione ad una precedente sentenza (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 aprile 2024, n. 7) che, in riforma della pronuncia di primo grado sfavorevole, ha accolto il ricorso della seconda classificata e, una volta disposto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ha dichiarato l’inefficacia del contratto e il subentro dell’appellante, seconda classificata, nel medesimo.
Secondo la tesi della società subentrante, le determinazioni assunte dalla stazione appaltante avrebbero violato il giudicato della citata sentenza n. 7 del 2024, in quanto l’amministrazione aveva sì disposto il subentro della seconda classificata, ma aveva anche ridotto l’importo contrattuale della convenzione, stabilendo di conseguenza che i singoli contratti attuativi avessero una durata inferiore a 60 mesi – di fatto stornando gli importi già corrisposti al precedente aggiudicatario.
L’Adunanza Plenaria, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso, chiarendo la portata del subentro nel contratto a seguito dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
Il Collegio ha osservato preliminarmente che gli articoli 121 e 122 del c.p.a. hanno attribuito al giudice della cognizione il potere di “modulare” la decorrenza della dichiarazione di inefficacia del contratto, stabilendo se essa debba operare ex tunc, ovvero ex nunc o da una determinata data, mantenendo fermi, in questi ultimi casi, gli effetti del contratto ormai caducatosi, con riferimento al periodo durante il quale esso sia già stato eseguito dall’originario aggiudicatario.
La Plenaria ha chiarito inoltre che, nel consentire il “subentro nel contratto”, gli articoli 122 e 124 del c.p.a. non si riferiscono alla “successione” nel contratto e nel rapporto contrattuale nello stato di esecuzione in cui si trova, ma “hanno consentito al giudice amministrativo di valutare gli interessi pubblici coinvolti e le circostanze del caso concreto, prevedendo anche l’ultrattività degli effetti del contratto (ormai caducatosi a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione)”.
Pertanto, secondo il Collegio, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il giudice amministrativo, oltre a determinare la decorrenza della perdita di efficacia dell’originario contratto, può anche disporre che il “secondo aggiudicatario” effettui soltanto le prestazioni non ancora eseguite per il periodo contrattuale “residuo” dell’affidamento, oppure che il nuovo rapporto abbia la medesima durata (oltre che gli stessi contenuti) di quello originario, come risultante dalla disciplina di gara.
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che, dalla motivazione della Ad. Plen., n. 7 del 2024 si deve desumere che la stessa avesse dichiarato l’inefficacia e il subentro nel contratto senza limitazioni, per un periodo corrispondente a quello originariamente previsto con il contratto ormai caducato. Tale decisione dell’Adunanza Plenaria risulta fondata sulle seguenti considerazioni:
a) il giudice ha deciso “in accoglimento della domanda all’uopo proposta dall’appellante principale”, che aveva domandato il subentro nel contratto senza limitazioni. L’appellante non aveva, quindi, circoscritto la domanda di risarcimento del danno in forma specifica alla sola parte di contratto non eseguita, come erroneamente interpretato dalla stazione appaltante;
b) la decorrenza dell’inefficacia del contratto originario e del contestuale subentro è stata fatta partire dallo spirare del cinquantesimo giorno successivo alla data della pubblicazione della sentenza per “ragioni di carattere organizzativo”, non per circoscrivere il subentro alle prestazioni ancora da eseguire;
c) nel corso del giudizio di cognizione, l’Amministrazione non ha prospettato “la sussistenza di ostacoli alla dichiarazione di inefficacia del contratto concluso con l’aggiudicataria e alla condanna al subentro nel contratto in favore dell’appellante”, né questi emergono da altri documenti posti a conoscenza del giudice, considerata anche la natura del servizio da svolgere;
d) l’appellante ha chiesto, in via subordinata, il risarcimento del danno per equivalente, sulla cui domanda la sentenza n. 7 del 2024 non si è pronunciata proprio in considerazione dell’integrale accoglimento della domanda di subentro, da intendere come risarcimento in forma specifica.
La Plenaria, dunque, ha chiarito che la sentenza n. 7 del 2024 “si è ispirata al fondamentale principio per il quale la durata del processo non può andare a detrimento della parte vittoriosa (cfr. Corte Cost., 28 giugno 1985, n. 190)”.
Invero, “Le pronunce giurisdizionali – sia quelle di cognizione, sia quelle di esecuzione – devono ispirarsi a tale principio”.
In conclusione, in considerazione di quanto argomentato, il Collegio ha stabilito che risulta in contrasto con il giudicato la condotta della stazione appaltante volta a “stornare” le somme già corrisposte al contraente precedente per le prestazioni eseguite, così riducendo il plafond disponibile relativo al contratto originario.