L’approvazione del PNRR ha fatto tornare di estrema attualità il tema della sostenibilità. Quando ci si riferisce a quella ambientale è piuttosto semplice capire a cosa si faccia riferimento, ma anche la giurisprudenza amministrativa ha iniziato ad interrogarsi per capire come poter fare un miglior uso dei contratti pubblici per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale.
Il PNRR ha fatto tornare d’attualità il tema della sostenibilità
Anche grazie all’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il tema della sostenibilità o, per meglio dire, di una “maggiore” o “piena” sostenibilità è tornato di estrema attualità sia in chiave teorica che dal punto di vista pratico.
Se è più facile intuire a cosa si allude quando si parla di sostenibilità ambientale (si pensi – per fare qualche esempio – alle tematiche della neutralità climatica, della decarbonizzazione, dell’economia circolare, dello sviluppo delle fonti rinnovabili, dell’efficientamento energetico, della transizione ecologica), questa “immediatezza” viene meno quando si è chiamati ad affrontare il tema della sostenibilità sociale, tanto più in un settore – quale quello della contrattualistica pubblica – che solo in tempi piuttosto recenti ha iniziato a indagare il ruolo dell’azione di committenza nella creazione di valore pubblico.
In particolare, si è iniziato a osservare il ciclo del procurement abbandonando per un attimo la prospettiva lineare incentrata pressoché esclusivamente sulla “fase di gara”, per concentrarsi su un’idea circolare, che origina da una corretta individuazione del bisogno da soddisfare, passa attraverso la costruzione della procedura di evidenza pubblica, attua la c.d. call to market, seleziona la miglior offerta, per poi giungere – in chiusura del cerchio – a dare una risposta a quell’esigenza di interesse pubblico identificata in origine.
In questo modo, ci si è accorti che la committenza è in grado – con le proprie azioni – di influenzare non solo la risposta del mercato e le iniziative dei vari soggetti che lo compongono (es. persone coinvolte nei processi di produzione e fabbricazione), ma anche la domanda delle altre committenze pubbliche.
Inoltre, l’azione di committenza può anche incidere sulla promozione delle opportunità di lavoro, sulla riqualificazione della forza lavoro, sul miglioramento dei livelli di competenza, sull’attuazione di condizioni di lavoro dignitose, sull’inclusione sociale, sulla parità di genere e intergenerazionale, sul commercio etico, oltre che sul conseguimento di ulteriori impatti sociali positivi (cfr., sul punto, Comunicazione 2021/C 237/01 della Commissione europea, recante “Acquisti sociali – Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici (seconda edizione)”.
Proprio per questo, è importante (per non dire fondamentale) che l’azione dell’Amministrazione inizi a fare un “miglior uso” (o un uso concreto ed effettivo) dei contratti pubblici per “sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale” (cfr. considerando 2 della direttiva 2014/24/UE), per “stimolare l’innovazione” e per “migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo affrontare le principali sfide a valenza sociale” (cfr. considerando 47 della direttiva 2014/24/UE).
Del resto, lo stesso art. 30 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i. (c.d. Codice dei contratti pubblici), al comma 1, ultimo periodo, consente di subordinare il rispetto del principio di economicità “ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico”.
Parimenti, il successivo art. 95, al comma 6, secondo periodo, ha cura di precisare che “l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto” e l’art. 100, al comma 1, che “Le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto […]. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali”.
Non solo. Persino la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7053) ha iniziato a interrogarsi sul “problema dei limiti normativi entro i quali lo strumento dei contratti pubblici può essere utilizzato in una più ampia prospettiva funzionale per il perseguimento di interessi e obiettivi di natura sociale, ambientale o, più in generale, di sostenibilità sia dal lato del prodotto acquisito dal mercato, sia dal lato del processo specifico di produzione dei beni e servizi idonei a soddisfare i bisogni sottesi alla decisione dell’amministrazione di rivolgersi al mercato”, giungendo ad affermare che:
- a. “l’introduzione di ulteriori interessi (di natura sociale) accanto all’interesse specifico all’acquisto di beni e servizi si realizza (nel caso in esame) mediante l’integrazione dei criteri di aggiudicazione, con la conseguenza che la valutazione di ammissibilità deve essere condotta alla stregua delle direttive ricavabili dall’art. 95 del Codice dei contratti”;
- b. “la stazione appaltante può discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volte a conseguire obiettivi di natura sociale”;
- c. “la condizione necessaria per il legittimo esercizio di tale potere discrezionale è costituita dalla verifica della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto nei termini della definizione di cui all’art. 95, comma 11 che considera connessi all’oggetto dell’appalto i criteri di aggiudicazione che ‹riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell’ambito dell’appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo di vita, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale›”, “fermo restando il limite da tempo individuato dalla giurisprudenza europea, ossia che il requisito non trasmodi nella previsione di criteri sociali che, abbandonando il legame con l’oggetto del contratto, prendano in considerazione gli aspetti relativi alla politica generale dell’impresa o altri aspetti estranei al programma contrattuale”;
- d. “altri limiti sono di ordine generale e riguardano l’esercizio della discrezionalità dell’amministrazione nella selezione degli interessi sociali, ambientali o relativi a obiettivi di sostenibilità, la cui individuazione e il cui peso nell’impianto della gara devono scaturire dalla ponderazione sia con l’interesse specifico del contratto (ossia l’interesse all’acquisizione del lavoro, bene o servizio per il soddisfacimento di specifici bisogni dell’amministrazione) sia con i principi generali di proporzionalità, parità di trattamento, non discriminazione e concorrenzialità del mercato degli appalti pubblici”.
Cosa fare in concreto? Servono innanzitutto impegno e leadership delle amministrazioni
Come fare, dunque, per provare a dare voce in concreto a uno strumento (quale quello delle pratiche di acquisto socialmente responsabili) che le istituzioni europee definiscono “potente”, oltre che “strategico” e che consente di conseguire vantaggi sociali e di evitare o attenuare impatti sociali avversi durante l’esecuzione del contratto, nel rispetto dei limiti di cui sopra?
Come prima cosa, occorrono leadership e impegno presso le amministrazioni chiamate a gestire gli appalti socialmente sostenibili.
Non possiamo più pensare di aspettare che qualcun altro sperimenti per primo un’idea per provare a capire se può essere replicata, con quali risultati, a che costi e con quali elementi di possibile criticità da affrontare; è tempo di provare a osare/sperimentare nel rispetto del quadro normativo vigente e degli strumenti che abbiamo a disposizione. In altre parole, servono idee in circolo, così da contrastare l’inerzia, avendo ben chiari quali possono essere i rischi derivanti dalla mancata azione.
In secondo luogo, bisogna riuscire a individuare correttamente il bisogno da soddisfare attraverso la call to market, così da identificare, all’interno della strategia d’azione, l’obiettivo o i possibili obiettivi sociali da perseguire perché connessi con l’oggetto dell’appalto. Tali obiettivi possono essere individuati, a titolo esemplificativo, all’interno delle seguenti aree tematiche:
- a. promozione di occasioni di lavoro e di inclusione sociale eque;
- b. creazione di opportunità per l’economia sociale e per le imprese sociali;
- c. promozione di condizioni di lavoro dignitose;
- d. garanzia del rispetto dei diritti sociali, dei diritti dei lavoratori e dei principi del commercio equo;
- e. acquisizione di beni, servizi e forniture accessibili a tutti, ivi comprese le persone con disabilità;
- f. garanzia del rispetto dei diritti umani all’interno e lungo tutta la catena di approvvigionamento, aumentando la trasparenza grazie al monitoraggio dei subappaltatori e dei subfornitori e dei loro subappaltatori/subfornitori, analizzando i rischi presenti all’interno della filiera, incoraggiando l’adozione di codici di condotta rigorosi in materia di responsabilità sociale.
Vanno poi sfruttati appieno gli spazi di flessibilità di cui si dispone e non può mancare la consultazione con le parti interessate, inclusi gli utenti, le parti sociali, le associazioni di categoria e le imprese operanti sul mercato. Se il mercato è in grado di conoscere in anticipo le esigenze che dovrà soddisfare, può capire come organizzarsi e su cosa e come investire per offrire risposte efficaci ed efficienti.
Da ultimo, vanno individuati traguardi raggiungibili (entro un determinato arco temporale) e misurabili così da definire condizioni contrattuali adeguate, prevedendo – se del caso – apposite premialità (circostanza quest’ultima ammessa anche dall’art. 1, comma 2, lett. h), n. 3 della l. 21 giugno 2022, n. 78, recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”).
Solo in questo modo gli “auspici” possono provare a diventare realtà e rendere i contratti pubblici socialmente responsabili realmente efficaci.
Esempi concreti di good practices al riguardo si possono, in parte, ricavare dalle esperienze europee (Nantes, Paesi Baschi, Copenaghen, Soderhamn, Lisbona, Monaco, Vallonia, etc.) e, in parte, mutuare dal mondo degli accordi collaborativi.
In ambito nazionale si possono trarre spunti di riflessione dal Rapporto 2020 dell’Agenzia Intercent-ER (“Il contributo di Intercent-ER all’agenda 2030 e agli obiettivi di sviluppo sostenibile”), la centrale d’acquisto della Regione Emilia Romagna, che dal 2011 ad oggi ha attivato 49 convenzioni caratterizzate dalla presenza di criteri sociali in relazione a molteplici categorie merceologiche.
Si può, poi, prendere spunto – specie con riferimento alle tematiche della parità di genere – dalla United Nations Development Programme Procurement Strategy 2015-2017, dal Gender-responsive public procurement, documento elaborato dall’European Institute for Gender Equality (EIGE), dal Sustainable Public Procurement How to “Wake the Sleeping Giant” Introducing the United Nations Environment Programme’s Approach, Second Edition, oltre che da tutta una serie di iniziative di stampo nazionale, quali:
- a. l’atto di risoluzione con cui l’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, in data 27 aprile 2022, ha impegnato la Giunta Regionale “a valutare, fin dalla predisposizione dei prossimi bandi regionali, gli strumenti più adeguati per l’introduzione, nelle procedure di gara, di criteri premiali di Gender responsive public procurement (Grpp) al fine di riconoscere e premiare il valore aggiunto delle imprese, anche nella forma di raggruppamenti temporanei o consortili, che al proprio interno promuovono la parità di genere e le pari opportunità”, oltre che “a condividere la conoscenza di tali pratiche con la rete degli Enti Locali e di tutti i soggetti che a vario titolo svolgono un ruolo attivo nell’attuazione delle politiche del lavoro in Regione Emilia-Romagna”;
- b. la mozione con cui l’Assemblea legislativa dell’Umbria, in data 11 gennaio 2022, ha chiesto all’unanimità alla Giunta Regionale di “adottare lo strumento del Gender Responsive Public Procurement (GRPP) quale strumento di promozione della parità di genere nelle procedure di evidenza pubblica per l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di competenza della Regione o degli Enti dalla stessa dipendenti o controllati, nonché ai fini della valutazione di progetti presentati nell’ambito di avvisi e bandi regionali; definire i criteri e i parametri idonei a dimostrare la sensibilità degli operatori economici al tema della parità di genere e dunque ad orientare la valutazione delle commissioni giudicatrici in sede di aggiudicazione delle procedure; predisporre apposite linee guida per la redazione dei capitolati di gara al fine di fornire adeguate indicazioni alle stazioni appaltanti e garantire la più ampia diffusione dello strumento all’interno dell’amministrazione regionale e delle altre centrali di committenza operanti nel territorio”;
- c. la delibera della Giunta Regionale della Puglia n. 1285 del 28 luglio 2021, recante “Primi indirizzi operativi per favorire l’eguaglianza di genere attraverso gli appalti pubblici”.
Infine, non va dimenticato che, in data 16 marzo 2022, è entrata in vigore la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere all’interno delle organizzazioni.
La strada sembra tracciata. Non resta, dunque, che seguirla dando vita a iniziative concrete. Ma è proprio qui che viene “il difficile”.