Svolta, non del tutto inattesa, nel processo di rigenerazione urbana promosso da Regione Lombardia e dai Comuni lombardi (per uno sguardo sul tema della rigenerazione urbana e dei rapporti pubblico-privato, sia consentito rimandare all’approfondimento del 16 dicembre 2020). Il TAR Milano, infatti, ha rimesso alla Corte Costituzionale – senza risparmiare critiche – il giudizio di legittimità dell’art. 40-bis della L.R. n. 12/2005, introdotto con la novella del 2019 sulla rigenerazione urbana, volto a stimolare, anche con rilevanti premi volumetrici e deroghe alle discipline urbanistiche, il recupero degli immobili dismessi o degradati da parte dei privati.
Questa disciplina aveva destato fin da subito perplessità e critiche da parte di esperti e amministratori, che lamentavano l’illegittima compressione della potestà regolamentare comunale in materia di tutela del territorio. Lo scontro si era poi elevato, a livello mediatico nazionale, con riferimento al caso del recupero del cd. Pirellino, l’immobile di proprietà del Comune di Milano, dismesso e venduto ad un fondo immobiliare per una cifra record in seguito ad asta pubblica, per cui è stato presentato un progetto di sviluppo che, senza i bonus volumetrici previsti dalla Legge Regionale sulla rigenerazione urbana, non sarebbe ammissibile.
Il caso
Con ordinanze n. 371-372-373 del 10 febbraio 2021, il TAR Milano ha ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Comune di Milano, dell’art. 40-bis della L.R. Lombardia n. 12/2005, introdotto dalla L.R. n. 18/2019 (c.d. Legge sulla rigenerazione urbana) e volto a disciplinare il recupero del patrimonio immobiliare dismesso.
Le vicende riguardano principalmente il riparto delle competenze di pianificazione del territorio tra Regione e Comuni, ed infatti i parametri di legittimità costituzionale vengono individuati negli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, e 118 della Costituzione.
Il contesto normativo
Con l’approvazione del nuovo PGT del Comune di Milano avvenuta il 14 ottobre 2019, è stata introdotta, all’art. 11 delle NTA del Piano delle Regole, una disciplina sul recupero degli edifici abbandonati e degradati piuttosto stringente. In particolare, si considerano abbandonati gli edifici dismessi da più di 1 anno, al ricorrere di determinate criticità per la sicurezza, salubrità o incolumità pubblica o di disagio per il decoro e la qualità urbana. I proprietari di tali immobili, individuati nell’apposita tavola del PGT aggiornata annualmente, devono avviare i lavori di recupero entro 18 mesi; qualora non provvedano entro detto termine, scatta l’obbligo di demolizione (può provvedervi anche il Comune, con spese a carico del privato) e la perdita di gran parte dei relativi diritti edificatori.
A poco più di un mese di distanza, con la Legge Regionale della Lombardia del 26 novembre 2019, n. 18, recante misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente, è stato introdotto l’art. 40-bis alla L.R. n. 12/2005, anch’esso volto a disciplinare il recupero degli immobili dismessi, ma in senso nettamente più favorevole per i privati, prevedendo:
– un termine di 5 anni per la dichiarazione di dismissione dell’immobile (che può giungere anche tramite semplice perizia asseverata del privato);
– un termine di 3 anni per l’avvio dei lavori di recupero, i quali potranno derogare alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento, sulle distanze previste dagli strumenti urbanistici comunali e ai regolamenti edilizi;
– l’incremento delle volumetrie, fino al 25% dell’esistente, e l’esenzione dal reperimento delle aree standard;
– nessuna perdita dei diritti volumetrici esistenti per il caso di omessa demolizione;
– l’applicazione della disposizione anche nei confronti di quegli immobili già dichiarati dismessi dai singoli Comuni.
La decisione del TAR Lombardia
In primo luogo, i Giudici del TAR rilevano la sovrapposizione tra le due discipline, in quanto la disposizione regionale si rivela completa ed esaustiva riguardo al trattamento giuridico da riservare agli immobili abbandonati e degradati, residuando in capo ai Comuni compiti meramente attuativi ed esecutivi.
Ciò premesso, si rileva che l’applicazione della disposizione regionale comprime in maniera eccessiva la potestà pianificatoria comunale, non consentendo a questi Enti alcun intervento correttivo o derogatorio in grado di valorizzare le peculiarità dei singoli. Anzi, applicandosi espressamente anche agli immobili fatiscenti individuati prima dell’introduzione della disposizione regionale, questa stravolge del tutto la pianificazione territoriale dei Comuni.
In altre parole, il legislatore regionale avrebbe imposto una “disciplina urbanistico-edilizia in ordine al recupero degli immobili fatiscenti ingiustificatamente rigida e uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali e in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere l’assetto del territorio, o di parti importanti dello stesso, in maniera del tutto dissonante rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale”.
I Comuni, quindi, non hanno la facoltà di selezionare, discrezionalmente, gli immobili da recuperare, e ciò causa un’inaccettabile incertezza in ordine al governo del territorio, poiché viene impedito ai Comuni una coerente programmazione in ambito urbanistico, rendendola in alcune parti, anche importanti, del tutto ineffettiva e ultronea.
Sulla disciplina “eccessivamente premiante” della L.R. Lombardia
Oltre alla paventata violazione del riparto di competenze tra Regione e Comuni, la disciplina regionale viene duramente contestata, sotto il profilo della proporzionalità, nelle parti in cui introduce meccanismi premianti per quei privati che eseguono i lavori di recupero degli immobili, anche nei casi in cui il Comune abbia già individuato immobili abbandonati e degradati.
Nelle ordinanze del TAR si legge chiaramente che “la norma regionale, quindi, incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole situazioni di abbandono e di degrado, da cui discende la possibilità di ottenere premi volumetrici e norme urbanistiche ed edificatorie più favorevoli rispetto a quelle ordinarie”.
Inoltre, l’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005 appare in contrasto anche con i principi di uguaglianza e imparzialità dell’Amministrazione discendenti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione, visto che incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole situazioni di “abbandono e di degrado, da cui discende la possibilità di ottenere premi volumetrici e norme urbanistiche ed edificatorie più favorevoli rispetto a quelle ordinarie”, riconoscendo premialità (anche) in favore di soggetti che non hanno provveduto a mantenere gli immobili in buono stato, a differenza dei proprietari diligenti che hanno fatto fronte agli oneri e ai doveri conseguenti al loro diritto di proprietà, ma che proprio per questo non possono beneficiare di alcun vantaggio in caso di intervento sul proprio immobile.
Infine, la disciplina regionale pare in netto contrasto con le disposizioni di legge, anche nazionale, volte a contenere il consumo di suolo.
E adesso?
Le critiche alla Legge Regionale sulla rigenerazione urbana sono molto dure e circostanziate – riprendendo invero i commenti di quei giuristi e politici che fin dalla sua approvazione avevano espresso dubbi – ma l’ultima parola spetta alla Corte Costituzionale.
L’apertura di un tavolo tecnico tra Comuni e Regioni volto alla modifica della disciplina regionale è fortemente auspicata e invocata anche da alcune parti in causa. Il rischio che si intravede è di profonda incertezza, almeno nei prossimi mesi, tanto per quei Comuni che, privi di un’apposita regolamentazione, devono individuare gli immobili dismessi ai sensi della Legge Regionale (che non è sospesa negli effetti, nelle more della decisione della Consulta), quanto per quelli che hanno già provveduto a individuare i siti dismessi sulla base di previsioni dei propri strumenti di pianificazione generale, in contrasto con la Legge Regionale.