Giugno 22, 2022

BIM: dietrologia dell’incompiuta digitalizzazione del progetto

by Studio Valaguzza in Approfondimenti

Il BIM è divisivo? Si chiede Andrea Dari, profondo conoscitore del mercato delle costruzioni e delle sue suscettibilità. La domanda ha un che di retorico: certamente il BIM è divisivo.

In diversi sensi. Come ha rilevato il Direttore, lo è perché mentre (tendenzialmente) i progettisti ne sono supporters, i costruttori, per lo più, sono scettici, quando non si oppongono alla sua diffusione. Il motivo di questa diversità di prospettive ha radici, a mio avviso, in una duplice serie di ragioni, di carattere primariamente economico e di business, e poi di organizzazione e di rischio.

BIM: per i progettisti uno strumento di lavoro, per i costruttori un costo o un investimento

Per i progettisti, il BIM è uno strumento di lavoro, una opportunità di miglioramento delle loro prestazioni, una chance commerciale. Non c’è dubbio che per il progettista che voglia investire sul proprio lavoro e sulla modernità dei servizi resi ai propri clienti, in presenza di capitali adeguati, scelga il BIM.

Per i costruttori, invece, il BIM è, in prima battuta, un costo, perché lo pagano nelle parcelle dei progettisti, o un investimento, quando devono dotare la propria struttura interna di progettazione o ingegneria di nuovi strumenti. La domanda del costruttore, come di fronte a qualsiasi onerosità maggiore, è quindi: ne vale la pena? Domanda che si trasforma, nel caso delle PMI, in “quanto” ne vale la pena? Per realizzare il “vero” BIM, infatti, come ormai è a tutti chiaro, non basta comprare un software, bisogna invece investire su professionalità specifiche, che sappiano lavorare pensando al dato prima che al progetto, che abbiano una visione strategica e complessa del sistema della data science, che vedano le implicazioni e le potenzialità dei processi digitali per migliorare anche il controllo della qualità di realizzazione, dei tempi e dei costi di manutenzione.

A maggior ragione, la diffidenza dei costruttori è reale ora più che mai, avendo essi inteso che non ci si può bimmizzare in maniera improvvisata, perché è alto il rischio di subire le scelte del progettista, o di non comprenderle con esattezza e di perdere il controllo del processo di realizzazione e delle sue criticità, oltre che di non intendere correttamente errori o sviluppi.

La domanda sul se e quanto ne valga la pena, se la pone anche la grande maggioranza di professionisti singoli, non associati, che lavorano da soli o quasi. Non così per i colossi della progettazione e dell’ingegneria, per i quali il BIM è una conquista del passato, che non tornerebbero mai indietro, avendone appreso i vantaggi sulla loro organizzazione, sul modo di lavorare, sulla resa dei progetti, sulla possibilità di far tesoro dell’esperienza, sulla precisione dell’archivio dati.

Chi non usa il BIM o non è sufficientemente formato o non vuole (o non può) investire in innovazione

La mia impressione è che la ritrosia verso il BIM, i cui benefici sono ampiamente sotto gli occhi di tutti, per convincersi dei quali basterebbe ascoltare chi ha seguito qualche esempio pratico, sia principalmente una giustificazione per chi non può o non intende investire in innovazione e per quei professionisti che non hanno abbastanza formazione specifica sull’attualità degli strumenti capaci di portare valore nel processo costruttivo. In entrambi i casi, comunque, di giustificazioni per la propria inadeguatezza sempre si tratta.

Il mercato delle costruzioni e la politica del settore, a questo punto, devono solo decidere se accettarle, quelle giustificazioni – fingendo che ci sia in effetti il dubbio che il (vero) BIM sia utile o disutile – o se non accettarla, con la consapevolezza, in quest’ultimo caso, di lasciare indietro i progettisti e le imprese meno qualificate e di aprire il mercato ai più strutturati operatori esteri.

Del resto, la concorrenza si basa sull’assunto darwiniano che il migliore resta, e il peggiore se ne va. Ecco, forse qui sta una ambiguità tutta italiana, sottesa alla questione del BIM sì o BIM no, che è il caso (se non di superare, almeno) di mettere in luce: si invocano i principi di concorrenza, si appoggiano le selezioni basate sull’offerta qualitativamente (e non solo economicamente) migliore, ma poi, in realtà, si impedisce ai migliori di essere tali, perché si “cappano” le migliorie: meglio non fare gare pubbliche chiedendo ai concorrenti di avere esperienza BIM o di presentare un gruppo di lavoro qualificato con certificati di competenza BIM, perché altrimenti si limita troppo il mercato; meglio non aggiudicare un progetto definitivo chiedendo di portare avanti il modello all’impresa perché chissà che cosa combina e così via. Se non si vuole vietare la progettazione CAD/bidimensionale, se si vuole parlare ancora di soft landing, almeno si fissi la data dell’atterraggio….

Appalti pubblici: sei anni dalla pubblicazione del codice del 2016 e la situazione non è cambiata poi tanto

Nel codice del 2016 già si parlava di promuovere la progettazione con strumenti digitali, senza però renderla obbligatoria a tappeto, per non imporla in maniera traumatica.

Sei anni sono passati, quattro Governi, quattro Ministri delle infrastrutture, una pandemia, un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, due decreti Baratono, cinque analisi dell’Oice, e ancora non siamo molto lontano dal punto di partenza.

Questo, a mio avviso, perché il BIM è divisivo specialmente all’interno della politica delle costruzioni. Il nodo va sciolto, credo.

Certo, il BIM è divisivo anche nel mondo dei concorsi di progettazione, nelle gare, in cui come ci ha messo in luce Angelo Ciribini, la richiesta di progetto “BIM” poco vuol dire, nei contratti(non basta mettere in gara un capitolato informativo ben fatto per risolversi il tema della nuova contrattualizzazione del processo di progettazione digitale che ha ben altre complessità e opportunità da regolamentare).

Sarebbe interessante studiare gli atteggiamenti diffidenti neutralizzando l’elemento economico. Provo a spiegarmi meglio: mi domando se la diffidenza dei costruttori, specialmente se PMI, sarebbe confermata nel caso in cui il prezzo del BIM o il costo dell’investimento ad esso correlato fossero neutralizzati, per esempio da un sistema di incentivi o di finanziamenti ad hoc capaci di supportare il passaggio alla progettazione digitale.

Ipotizzo che il sistema incentivante da solo non basterebbe, se non fosse accompagnato dalla presenza di professionalità pronte all’inserimento nel mondo aziendale, adeguatamente formate.

Su tutti questi temi potrebbe/dovrebbe intervenire la politica, chiarendo da che parte sta, perché noi qui ancora non l’abbiamo capito. Ho l’impressione che, in fondo, la grande dicotomia sia tra passato e futuro, tra antico e moderno, tra innovazione e burocrazia, tra stasi e progresso. Del resto, la scienza e la tecnica hanno il potere di creare nuove cose: “in un certo senso [sono] la porta del paradiso, e la stessa chiave apre le porte dell’inferno” (R. Feynman, Il senso delle cose, Milano, 1999, 17).